Lavorare da qualsiasi posto del mondo sfruttando l’evoluzione della tecnologia: questo è il modus vivendi dei nomadi digitali, una realtà eterogenea di professionisti, per lo più giovani, che ultimamente sta diventando sempre più concreta. Anche se l’espressione “nomade digitale” può evocare una persona dallo spirito libero che vive all’avventura senza preoccuparsi delle proprie responsabilità, l’idea alla base di questo stile di vita va ben oltre questo stereotipo: come recita il manifesto riportato sul sito ufficiale (www.nomadidigitali.it), per definirsi nomade digitale è necessario abbracciare una vera e propria filosofia di vita, che si fonda sul desiderio di indipendenza, flessibilità, realizzazione di sé e mobilità. Non serve quindi esercitare un particolare mestiere, ma basta saper padroneggiare le nuove tecnologie e reinventarsi per accedere ad una carriera sostenibile da diversi punti di vista, che permette di viaggiare sempre e ovunque perché totalmente indipendente dai vincoli di luogo e di orario del lavoro tradizionale. Una strada che richiede coraggio, ma che offre altrettante opportunità e attrae per questo motivo un numero sempre più consistente di giovani: il nomadismo digitale è stato infatti uno dei principali temi trattati durante l’edizione 2023 di Marketers World, convention organizzata dalla più grande community italiana di imprenditori smart, tenutasi tra il 13 e il 15 ottobre scorsi proprio a Rimini, che si dimostra una città all’avanguardia su questo fronte. Il nostro territorio, infatti, non ospita professionisti del mondo digitale solo per tre giorni all’anno, ma viene scelto da molti ‘nomadi’ come base da cui lavorare per qualche tempo: ce lo racconta Federico Bianchi, designer riminese di 24 anni.
Federico, raccontaci un po’ di te. In che cosa consiste il tuo lavoro?
“Mi occupo di UX/UI design, ossia della progettazione grafica delle interfacce e dell’esperienza dell’utente all’interno di applicazioni o siti web. Dopo essermi laureato in Industrial Design ho scelto di cominciare da subito a fare esperienza, perché credo che sia fondamentale per questo tipo di mestiere: inizialmente ho colto alcune opportunità di stage, sia dentro sia fuori dall’università, in note aziende del settore e da ormai un anno e mezzo lavoro per Bitrock, importante società di consulenza in ambito tecnologico, da cui mi è stata offerta una posizione completamente in smart working”.
Come mai hai scelto il lavoro da remoto?
“Avrei potuto lavorare nella sede centrale dell’azienda a Milano, dove avevo già vissuto per qualche mese durante uno stage, ma ho deciso di non trasferirmi perché l’ho trovata una città molto frenetica e soprattutto troppo costosa per un giovane alla prima esperienza lavorativa, nonostante tutte le opportunità che offre per chi è nel mondo del design. Inoltre mi sembrava comodo rimanere a Rimini perché ho già una postazione computer a casa, ma in qualsiasi momento ho la possibilità di andare in spazi fisici di coworking offerti dall’azienda, che si trovano a Bologna e Treviso”.
Ti definiresti un nomade digitale?
“Non ho mai pensato a me stesso come nomade digitale in senso stretto, perché ci sono molti professionisti più ‘nomadi’ di me: lavorare per un’azienda mi porta comunque a dover seguire degli orari d’ufficio che devo rispettare, quindi non ho la completa libertà nella gestione del mio lavoro dal punto di vista delle tempistiche che può essere caratteristica, per esempio, di un content creator. D’altra parte, dovendomi recare in sede solo occasionalmente per interagire con i clienti, nessuno mi vieta di fare le valigie e di lavorare per qualche mese in una qualsiasi città d’Italia o d’Europa: mi definirei perciò un ibrido tra un nomade digitale vero e proprio e un lavoratore tradizionale”.
Secondo il manifesto ufficiale del progetto, chiunque sia competente nel mondo della tecnologia e condivida le idee di flessibilità e indipendenza può ritenersi un nomade digitale: ti ritrovi in questi valori? Pensi che in futuro vorrai essere più “nomade”?
“Il nomadismo digitale mi è sempre interessato per il senso di libertà lavorativa che offre: a me piace viaggiare e non nascondo che lavorare all’estero sarebbe uno dei miei sogni nel cassetto, perché mi permetterebbe di entrare in contatto con nuovi ambienti e soprattutto di perfezionare l’inglese, che è fondamentale per il mio mestiere. In questo momento, poiché con la posizione che ricopro attualmente non avrei l’autonomia che desidero, sto aspettando a compiere questo passo: un ipotetico progetto per ottenere un’indipendenza completa sarebbe quello di lavorare da libero professionista, ma è una possibilità che valuterò seriamente dopo aver accumulato più esperienza”.
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questa filosofia di lavoro? La consiglieresti ai tuoi coetanei?
“L’aspetto migliore dello smart working è senza dubbio la flessibilità: mentre un mestiere tradizionale è circoscritto a otto ore della giornata che devono essere il più produttive possibili, a casa si può aumentare o rallentare il ritmo a seconda delle proprie necessità. Si ha inoltre un guadagno non indifferente dal punto di vista del tempo impiegato per andare fisicamente al lavoro o per svolgere le faccende domestiche, che posso gestire a piacimento durante le pause al posto di ritrovarmele tutte insieme dopo aver staccato. Chiaramente svolgendo una professione da remoto si perde la familiarità con i colleghi e la possibilità di stringere rapporti con loro, in quanto risulta molto più complicato interagire da dietro uno schermo: per questo motivo non consiglierei il lavoro da remoto a giovani alle prime esperienze, ma a posteriori non è una scelta da sottovalutare se si vuole abbracciare uno stile di vita più tranquillo e sostenibile”.
Giulia Cucchetti