Ognuno di noi ha almeno un “bulletto” da ricordare. L’esempio classico è il capobanda che ordina ai seguaci di escludere dalla cerchia di amici un determinato compagno per poi prenderlo di mira con persecuzioni, offese e molestie. Le nuove tecnologie, dai telefonini muniti di telecamere ai social network – la piazza dove sempre più vittime finiscono per subire un’ulteriore umiliazione, con effetti moltiplicati – hanno cambiato profondamente il fenomeno. Secondo la recente indagine della Società Italiana Pediatria (Sip), Abitudini e stili di vita degli adolescenti, avrebbero addirittura portato ad una contrazione del fenomeno all’interno delle scuole a fronte di un aumento del cyberbullismo. La ricerca campionaria evidenzia che nelle realtà scolastiche il 54% dei ragazzi interpellati dichiarano di aver assistito “qualche volta” o “spesso” ad atti di bullismo contro il 61,5% dello scorso anno e il 75% del 2008. Al contrario, il cyberbullismo sarebbe citato dal 43% del campione.
Come interpretare questi dati? È vero che il bullismo, tra i nostri, ragazzi, assume sembianze sempre più virtuali? Lo abbiamo chiesto al Dott. Andrea Novelli, psicoterapeuta e consulente per alcuni istituti superiori del territorio.
È vero che il bullismo a scuola è in calo?
“No, a livello europeo il fenomeno è stabile. Quanto alla ricerca della Sip, bisognerebbe capire cosa viene inteso per bullismo, quali sono le modalità di rilievo e se i questionari sottoposti erano anonimi o meno”.
Nel nostro territorio, secondo la sua percezione, la situazione qual è?
“Innanzitutto c’è una grande differenza tra maschi e femmine e a seconda delle fasce d’età. Nelle superiori gli episodi di bullismo sono meno rispetto alle scuole medie, ma più gravi. Inoltre, mentre nei maschi i comportamenti sono più violenti, nelle femmine, anche se la violenza è in aumento, ci sono aspetti più legati all’umiliazione e alla costruzione di un’identità negativa dell’altro. In entrambi i casi, però, resta determinante il gruppo”.
È vero che il bullismo si trasferisce sempre più sulla Rete?
“Internet e i social network consentono una rappresentazione amplificata. La rapidità e facilità con cui si può riprendere col telefonino un sopruso e metterlo in Rete permette di umiliare ancora di più la vittima e di aumentare il potere del bullo. Ma non il cyberbullismo non è un fenomeno a se stante rispetto alla vita reale”.
Qual è l’identikit prevalente del bullo?
“Non è più il classico Garrone da Libro Cuore, per intenderci. E non è detto che sia per forza un soggetto deviante. Gli episodi si manifestano nelle scuole professionali come nei licei e i bulli appartengono anche alla media e alta borghesia. Infine non è vero che sono soggetti problematici: alcuni hanno un’altissima autostima e ricevono gratificazione dal potere, a maggior ragione se c’è un pubblico cui mostrarlo. Il problema principale è la carenza di una capacità empatica della sofferenza dell’altro. Non a caso molti durante i colloqui rispondono che stavano semplicemente scherzando”.
La vittima invece che caratteristiche ha?
“C’è il soggetto attivo che si ribella, non si arrende e continua a provocare (e proprio per questo è meno protetto dall’adulto) e quello più passivo, introverso, che non si confida perché prova vergogna”.
Ci sono dei segnali che possono aiutare i genitori a capire?
“Sì. Quando il ragazzo si chiude, vede meno gli amici, arriva da scuola in ritardo perché anziché prendere un autobus ne cambia tre pur di non incontrare il nemico. O quando si presenta con dei lividi, senza degli oggetti o con cose rotte”.
La vittima che reazioni tende ad avere?
“È più facile che si confidi con l’insegnante di fiducia piuttosto che con la famiglia. Perché gli episodi avvengono a scuola e perché nelle famiglie i momenti per poter parlare tranquillamente sono ormai pochi. È difficile che il ragazzo si apra a domanda diretta. Possono aiutare di più momenti di condivisione tra genitore e figlio”.
Il bullo invece come si può aiutare?
“È il sistema di valori che va cambiato. Spesso si tratta di bambini che hanno disturbi di condotta, hanno già manifestato atti di crudeltà, per esempio verso gli animali, e non hanno acquisito competenze sociali adeguate. Spesso sono giustificati anche in famiglia come ’caratteri forti’ e sono gli stessi genitori a chiedere: ’ma alla fine, cos’ha fatto di male?’. Come se non farsi mettere i piedi in testa fosse un pregio. Sono questi modelli che vanno superati”.
Alessandra Leardini