No, io non credo in un dio che manda il terremoto come castigo per la legalizzazione delle unioni civili. Un dio così sarebbe un dio mostro, non il Padre nostro. Sostenere la tesi del terremoto come ’castigo divino’ risulta offensivo per chi crede e scandaloso per chi non crede. Perché chi crede, si fida di – si affida a – un Dio-Amore, tutto fatto di misericordia e stragrande nel perdono. L’esatto contrario di un dio-giustiziere, un essere neroniano e sanguinario. Mentre chi non crede, ha tutte le ’sacrosante’ ragioni per non fidarsi di – affidarsi a – un dio cattivo, capriccioso e vendicativo. Ma dire che Dio con il terremoto ha inteso punire i peccatori appare anche blasfemo nei confronti di Dio stesso.
No, io non credo e non crederò mai in un dio che si apposta dietro una curva per tendermi una rappresaglia, per ’farmela pagare’. E poi: avallare la meschina cattiveria del terremoto come ’castigo divino’ risulta essere uno squallido insulto e una insopportabile provocazione nei confronti di tanta povera gente che piange i parenti morti, è rimasta senza casa e senza lavoro, con una quotidianità sottosopra, e continua a tremare per l’incubo di un terremoto che sembra non volerla finire più a far tremare la terra. Pensare e dire che tutto questo è avvenuto per placare la “giustizia divina” sarebbe come gettare acqua bollente sulle ferite brucianti di quella gente. Del resto, se Dio con questa sanzione avesse voluto “fare giustizia”, perché dunque non ha terremotato tutta l’Italia? Ora, se è vero che “non è il terremoto che uccide, ma la casa che crolla”, allora si tratta di domandarsi non dov’era Dio quando la casa è crollata, ma dov’era l’Uomo che doveva metterla – o aveva fatto finta di averla messa – in sicurezza.
Dopo duemila anni non pochi cristiani non hanno ancora spezzato il laccio che annoda delitto e castigo, peccato e malattia, crimine e morte. Eppure Gesù lo aveva fatto in modo inequivocabile. Vedi il suo commento alla notizia del crollo della torre di Siloe: quei diciotto operai schiacciati dalle macerie non erano certo più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Si veda anche la risposta del Maestro all’accanita domanda dei discepoli, di fronte al cieco nato: ”Né lui ha peccato né i suoi genitori”.
Ma allora la misericordia di Dio ha oscurato la sua giustizia? Assolutamente no. Ma cosa significa ”giustizia di Dio”? Prendiamo san Paolo. Nella Lettera ai Romani (1,17) l’Apostolo afferma pari pari: nell’annuncio dell’evangelo “si rivela la giustizia di Dio”. Dobbiamo tener presente l’ambiguità culturale di un autore che scrive in una lingua (il greco), ma pensa in un’altra. Nel versetto appena citato si verifica dunque una “frattura linguistica” che va attentamente interpretata. Dietro la lettera, occorre cogliere il significato. Sotto il ’linguaggio’, occorre rintracciare il ’messaggio’. Se restassimo agganciati soltanto alla nostra precomprensione di tipo greco (ma anche moderno!) dovremmo pensare che per ’giustizia’ si debba intendere la giustizia ’retributiva’. Cosa vuol dire allora san Paolo? Vuole intendere che Dio è giusto in quanto è un giudice equo e corretto nel retribuire con il premio il bene da me fatto e con il castigo il male da me compiuto? Allora sarebbe tutta qui la ’buona notizia’ (=evangelo)?! Assolutamente no! La giustizia di Dio secondo Paolo, non è… ’giustiziera’, ma ’giusti-ficante’. In altre parole, Dio è giusto non in quanto punisce il peccatore, ma in quanto lo ’giusti-fica’, cioè lo fa-giusto, perdonandolo. Pertanto la giustizia divina fa rima baciata con la sua misericordia!
Questa è la verità dell’evangelo. È il vangelo della croce. Gesù è stato condannato, ma personalmente è perfettamente innocente. Anzi ci ama fino al punto da amarci con l’amore più grande: quello di dare la vita per noi “quando eravamo ancora peccatori” e dunque a lui ostili. Gesù potrebbe invocare dal Padre una legione di angeli a sua difesa e protezione. Il Padre potrebbe incenerire mandanti e carnefici che gli stanno straziando il Figlio. Ma tutto questo non avviene. Gesù invoca il perdono e il Padre ci riconcilia con sé. Insegna don Oreste: Gesù ha sofferto più per il male che i suoi crocifissori si facevano, che non per il male che gli facevano, piantandogli i chiodi nelle carni. Questo infatti è il peccato, l’egoismo, la cattiveria, l’odio, l’invidia… Facendo il male noi ci facciamo del male. E Dio non si offenderebbe se, per assurdo, il peccato non facesse del male a noi…
Torniamo al terremoto. Ora possiamo capire cosa significhi pregare Dio in tempo di calamità tanto catastrofiche. Ce lo indica con chiarezza lampante la colletta dell’analoga Messa, prevista dal Messale Romano. In quella preghiera si chiede a Dio di avere pietà di noi, suoi fedeli, “sconvolti dai cataclismi che scuotono le profondità della terra, perché, anche nella sventura, sentiamo su di noi, la tua mano di Padre”. È una mano che non vuole schiacciare, ma solo sollevare. Solo salvare.
+ Francesco Lambiasi