Viviamo nell’era dell’innovazione tecnologica. Un’era in cui la corsa (delle aziende e quindi del mercato) è tutta indirizzata a chi sviluppa quel dispositivo in grado di rappresentare la soluzione più efficiente, rapida ed economica ai nuovi problemi dell’uomo, quelli dell’età moderna. E così si sono creati, nell’immaginario collettivo, dei luoghi quasi leggendari, nei quali ogni giorno grandi menti elaborano le più disparate idee, per far evolvere sempre di più la tecnologia e lasciando intravedere scenari che sembrano tratti dal mondo della fantascienza (come nel caso della Silicon Valley).
Ma non c’è solo questo tipo di sviluppo tecnologico. E non c’è solo la Silicon Valley. Guardando in casa nostra, infatti, possiamo trovare importanti casi di innovazione. Quella vera, che lascia da parte la fantascienza e cerca di risolvere in concreto alcune delle problematiche più sentite di oggi. Come nel caso della realtà di Newster System srl, azienda riminese che da oltre 20 anni si occupa di sviluppare tecnologie in grado di smaltire i rifiuti sanitari ospedalieri in modo completamente sterile, con il minimo impatto ambientale possibile e, soprattutto, in un’ottica di riutilizzo dei rifiuti che sia costruttivo e virtuoso. Un lavoro che dà i suoi frutti. Uno su tutti: da marzo di quest’anno l’Ospedale ‘Luisa Guidotti’ di Mutoko (in Zimbabwe, sostenuto dalla onlus riminese Fondazione Marilena Pesaresi) può usufruire di una particolare macchina donata proprio da Newster (la NW5), in grado di trattare i rifiuti ospedalieri, per loro natura delicati e pericolosi, attraverso un processo che li riduce a una polvere completamente sterile, riutilizzabile per vari progetti. Nel caso specifico dell’ospedale di Mutoko, la polvere viene mescolata a cemento e sabbia e utilizzata per la pavimentazione di percorsi pedonali e gettate di cemento.
Andrea Bascucci, amministratore unico di Newster, parte da questa esperienza (raccontata ampiamente in passato da ilPonte) per valutare scenari e applicazioni future di questa tecnologia, che può rappresentare una possibile alternativa (tutta riminese) all’attuale sistema di gestione dei rifiuti sanitari, non esente da ombre.
Bascucci, partiamo dall’inizio. Come nasce l’intuizione di gestire i rifiuti ospedalieri in questo modo?
“L’idea nasce dalla consapevolezza che, attraverso la tecnologia, è possibile arrivare a un trattamento dei rifiuti sanitari, tra i più pericolosi, non solo in modo sicuro per l’uomo ma anche con il minor impatto ambientale possibile. Il tutto con un’ottica costruttiva”.
In che senso?
“Volta al riutilizzo. Attraverso una macchina, la NW5, i rifiuti sanitari vengono sterilizzati, ridotti di peso e di volume, e trasformati in una polvere grigiastra completamente sterile e inerte, che può essere utilizzata in diversi modi nelle varie realtà ospedaliere del mondo, a seconda della legislazione dei Paesi di riferimento”.
Il tutto riducendo al minimo l’impatto ambientale.
“Sì, la tecnologia è completamente ‘green’. Prendiamo l’esempio specifico di Mutoko: prima della nostra macchina l’ospedale bruciava i rifiuti sanitari attraverso un inceneritore, producendo diossina, pericolosa per l’uomo e dannosa per l’ambiente. Con la nostra tecnologia questo non avviene. E infatti è visto come un progetto vincente, almeno in quelle zone del mondo: per quanto riguarda i progetti operativi legati al sostegno delle realtà africane, abbiamo vinto il primo bando dell’Agenzia italiana per lo sviluppo cooperativo, e siamo fiduciosi di vincere il secondo quest’anno, che ci porterà a realizzare delle installazioni della nostra tecnologia in Niger e in Mozambico. Questo per quanto riguarda il canale della cooperazione italiana allo sviluppo, che comunque rappresenta solo una parte del nostro settore, perché abbiamo anche un mercato che si rivolge ai privati in tutto il mondo”.
Al di là dei rifiuti ospedalieri, questa tecnologia è applicabile anche allo smaltimento degli altri tipi di rifiuti?
“No, la tecnologia è applicabile ai rifiuti sanitari. L’azienda sviluppa tutta una serie di prodotti, con diverse tecnologie, per arrivare a trattare tutti i tipi di rifiuto sanitario, solidi, liquidi e da laboratorio. Ma si rimane nell’ambito del rifiuto ospedaliero. Quello che, in realtà, ci auguriamo è che questo tipo di tecnologia, e quindi questa modalità di trattamento del rifiuto sanitario, possa essere applicato anche in Italia”.
Perché al momento, in effetti, c’è una situazione di paradosso.
“Allo stato attuale, di fatto, l’ospedale Mutoko in Zimbabwe è tecnologicamente più avanzato degli ospedali italiani. Più in generale, inoltre, va detto che non si tratta solo di una questione tecnologica, ma anche di beneficio economico”.
Ci spieghi.
“Questa tecnologia, e la modalità di gestione dei rifiuti che ne deriva, fa risparmiare all’ospedale, in media, tra il 30% e il 50% dei costi, perché riducendo peso e volume dei rifiuti ne consente lo stoccaggio in un container, quindi senza la necessità di doverli trasportare continuamente. Se, dunque, questa tecnologia venisse applicata anche in Italia e nel nostro territorio, oltre agli importanti benefici sull’ambiente sarebbe possibile avere un risparmio a livello di sanità pubblica e, quindi, di tasse per i cittadini. Ci sono già alcune ricerche che dimostrano che, se in Italia venissero utilizzate le tecnologie che trattano i rifiuti sanitari attraverso la sterilizzazione, si risparmierebbero circa 300 milioni di euro l’anno”.
E quindi perché, secondo lei, in Italia non vengono utilizzate queste tecnologie?
“Perché c’è una barriera di tipo lobbistico. In Italia si è scelta la via degli inceneritori, ma chi gestisce gli impianti gestisce anche il trasporto dei rifiuti. Il sistema dei termovalorizzatori, quindi, vive sulla produzione di rifiuti, perché di fatto rappresentano il ‘carburante’ che fa andare avanti l’attività degli impianti. Un sistema del genere non può avere un interesse a far calare la quantità di rifiuti, la materia prima degli inceneritori. Se così fosse gli impianti perderebbero la propria copertura economica: ricordiamo che sono stati fatti investimenti milionari, di cui ancora stiamo sostanzialmente pagando gli ammortamenti”.
Ritorniamo a un’ottica più positiva. La tecnologia di sterilizzazione dei rifiuti ha anche un altro vantaggio: la possibilità di un riutilizzo del prodotto finale, che può portare a situazioni virtuose. Quali le possibili applicazioni?
“La polvere sterile che risulta dal processo di sterilizzazione può essere utilizzata in diversi modi costruttivi. Tornando all’esperienza di Mutoko, ad esempio, attraverso un’autorizzazione dell’ente ambientale governativo dello Zimbabwe è stato possibile mescolare la polvere sterile con il cemento, in modo da poterla riutilizzare a scopi edili. In Italia, invece, guardando anche alla legge già presente sul recupero energetico, potrebbe essere recuperata nell’ambito dell’energia, perché la polvere, costituita da carta e plastica, ha un proprio potere calorifero. Ma non si va oltre, perché per quanto riguarda l’utilizzo in altri ambiti, ad esempio quello edile, ad oggi in Italia non è possibile farlo”.
Per quale motivo?
“Il rifiuto, anche se sterile, rimane rifiuto, e quindi per la legge italiana deve essere smaltito, non può essere recuperato come prodotto. Occorrerebbe realizzare tutta una procedura di studio al Ministero dello Sviluppo Economico per dimostrare che il rifiuto può diventare un prodotto perché esiste un secondo mercato, che è quello del recupero per finalità edili. Ma è una procedura molto complessa. Ci auguriamo che nel prossimo futuro cadano alcune barriere nella burocrazia italiana, che permettano una diffusa applicazione di questa tecnologia che, crediamo fortemente, possa migliorare tutto il sistema di gestione dei rifiuti ospedalieri nel nostro Paese e nel nostro territorio”.