Lo smile, ovvero la faccina tonda che ride, per noi boomer ha un significato particolare. È stata la nostra prima emoticon quando le emoticon non esistevano, da scrivere a penna sui diari o sugli zaini. “Smile, you are on candid camera” era lo slogan del programma condotto dal giovane Gerry Scotti che si guardava nel primo pomeriggio prima di fare i compiti. Smile era il nome di uno storico pub di Riccione tappa frequente delle mie prime uscite del sabato sera. Ed è per questo che mi urta parecchio l’uso distorto che dello smile vedo fare sempre più spesso sui social network, ovvero come giustificazione per frasi di cattivo gusto. Offendo qualcuno ma poi metto la faccina sorridente alla fine, magari nella versione con le lacrime che scendono copiose dal ridere, così sono a posto. Il territorio ravennate è allagato con danni incalcolabili? “Così non si lamenteranno della siccità” e faccina che ride. Una persona muore per un malore? “Nessuna correlazione” e faccina che ride. Sui barconi di migranti che si rovesciano ho letto cose che non mi sento neanche di riportare, ma con la faccina che ride in fondo. Come a dire: “Che volete da me? Stavo scherzando”.
Se dovete scrivere delle atrocità prendetevi le vostre responsabilità. E lasciate stare la faccina che ride, per favore, che lo smile è una cosa seria.