Forse lo stesso anno in cui Francesco d’Assisi moriva, il 1226, nasceva a Saludecio (allora Sancti Laudicii), da una ricca famiglia, Amato Ronconi. Sull’esempio del poverello d’Assisi sorsero in quel periodo tante figure esemplari di carità, che nella sua scia, donarono la loro giovinezza ed i loro beni per il nuovo ideale, che scosse dalle radici la Chiesa del XIII secolo. Amato fu una di queste.
Suoi riferimenti spirituali ed educativi furono il convento francescano di Formosino, un piccolo cenobio fondato da san Francesco per i suoi frati, situato sul Monte Formosino, tra il Castello di Montegridolfo e il Castello di Mondaino e l’abazia benedettina di San Gregorio in Conca. La sua spiritualità fu una magnifica sintesi fra la vocazione benedettina, di cui condivideva il legame alla terra e al lavoro, e quella francescana, nella scelta della povertà e dell’itineranza.
Un’accusa infamante
Rimasto presto orfano, trascorse la sua giovinezza con la famiglia del fratello Giacomo.
Figlio cadetto di un possidente, ebbe come tutti i cadetti una ben misera eredità e lavorò come agricoltore e come bracciante agricolo.
Si narra dell’odio per lui della cognata Lansberga, perché aveva rifiutato un matrimonio che la parente gli aveva predisposto.
La sua fu una vita di penitente, ogni giorno si flagellava e si nutriva di pochi legumi; ben presto venne considerato un pazzo dai suoi concittadini, ma particolarmente dalla cognata, più che mai infuriata, perché vedeva “sciupare” la proprietà, che poteva essere sua e del marito. Giunse al punto di accusarlo alle Autorità di incesto con la sorella Clara .
Secondo la ‘Vita’ scritta nel 1518, dall’umanista Sebastiano Serico, il quale in mancanza di documentazioni, poté riportare soltanto le tradizioni orali, tramandate nella sua famiglia, il Signore dimostrò l’innocenza e la santità di Amato Ronconi, con vari miracoli.
L’ospizio di Monte Orciaro
Amato fece della sua casa presso il Monte Orciaro, un ospizio, dedicato alla Natività di Maria Vergine, per dare un letto ai poveri ed ai pellegrini. Per sostenere questa lodevole opera e le necessità economiche annesse, Amato donò di nascosto il ricavato delle sue terre e perfino il guadagno, che riceveva con il suo lavoro di garzone presso altri agricoltori.
La sua casa, situata lungo la strada che da Rimini per Urbino porta a Roma, diventò un luogo di sollievo e ristoro per i pellegrini che affluivano senza fine.
Amato li accoglieva e li sfamava, e quando le provviste erano terminate sopraggiungeva… il miracolo.
Il miracolo delle rape
Tra i miracoli tramandati dalla tradizione popolare quello più famoso è quello delle rape: non c’era più nulla da poter offrire ai numerosi pellegrini, nell’orto c’erano solo delle rape piantate la mattina stessa. La sorella Clara riferì al fratello l’assoluta mancanza di cibo e lui le rispose di andare nell’orto di raccogliere quello che il Signore avrebbe avuto il piacere di dare loro. Clara uscì e se ne tornò con un fardello di rape, di grossezza straordinaria, levate da dove la mattina erano state seminate.
Una vocazione itinerante
Francesco d’Assisi fu da sempre l’ispiratore della vita penitente e caritatevole di Amato, e come Francesco, Amato scelse di essere itinerante.
Fece pellegrinaggio a Rimini per venerare le reliquie del Santo Vescovo Gaudenzio e sul Monte Titano per visitare lo speco del Santo Diacono Marino.
Si recò per quattro volte al celebre Santuario di San Giacomo di Compostela, in Spagna, per venerare il corpo dell’apostolo.
Durante questi pellegrinaggi avrebbe compiuto dei miracoli, secondo il biografo Domenico Franzoni, il quale narra di un defunto richiamato alla vita nella città di Compostela.
La veste che indossava era comune a quella di tutti i pellegrini. Una tonaca raccolta ai fianchi da una cintura di cuoio e una mantelletta che copriva le spalle; ai piedi scarpe robuste o anche solo rozzi sandali a protezione della pianta dei piedi; una bisaccia a tracolla dove erano raccolti gli oggetti personali di estrema necessità e il pane ricevuto in elemosina. Al collo portava una conchiglia che solo i pellegrini di ritorno da Santiago avevano il privilegio di portare, a testimonianza dei loro viaggi. L’emblema del Santuario di Santiago infatti suscitava grande rispetto per chi lo portava.
Benedettini suoi eredi
Si narra che nel corso del suo quinto pellegrinaggio a Compostela un angelo gli ordinò di tornare a casa perchè la sua vita si sarebbe conclusa entro breve.
Amato fece ritorno immediato in Italia e nel Monastero di San Giuliano in Rimini mise a conoscenza Don Salvo, monaco benedettino, di questa sua rivelazione e lo pregò affinchè l’Ospizio di Monte Orciano potesse rimanere per sempre metà di carità.
Il 10 gennio 1292 fratel Amato del terz’ordine di San Francesco, fece donazione di tutti i suoi beni per uso ed abitazione di monaci dell’ordine di San Benedetto, compreso l’ospizio e la cappella che egli aveva costruito in onore della Natività della Vergine. Lasciò anche scritto che il suo corpo sarebbe stato seppellito nella cappella dello stesso ospizio.
Fratello Amato del Terz’Ordine
La conferma di ciò viene dal suo testamento, pubblicato nel volume “Rimini nel secolo XIII”, edito nel 1862, dove si legge che: “l’onesto e religioso uomo, fratello Amato del Terz’Ordine del beato Francesco, proprietario e fondatore dell’Ospedale di S. Maria di Monte Orciale, presso il castello di Saludecio, fa solenne cessione di quell’ospedale e di tutte le sue proprietà ai Benedettini di S. Giuliano e di S. Gregorio in Conca di Rimini, chiedendo nel contempo, di venire sepolto nella cappella dello stesso ospedale”.
Amato Ronconi si spense, nel poverissimo letto della sua cella, il giorno 8 maggio 1292.
Beato, subito
Il testamento porta la data del 10 gennaio 1292 ed è l’unico documento che attesta in quale secolo sia vissuto Amato Ronconi. Qualche anno dopo (1300 ca.), era già morto quindi negli ultimi anni del secolo XIII, ed era già venerato con il titolo di beato, perché in un documento datato 26 maggio 1304, il legato pontificio cardinale Francesco di Sant’ Eusebio, confermava quella donazione, scrivendo al monaco Salvo “priore dell’ospedale del beato Amato” e concedeva un’indulgenza a chi visitasse il sepolcro del beato. Tutto ciò ci attesta che fin dalla sua morte il popolo cominciò a chiamarlo Beato.
L’olmo del Beato Amato
Nel 1330, in seguito ad un incendio, il suo corpo fu portato su un carro trainato da buoi, nella chiesa plebale di Saludecio.
Fu durante questa frettolosa traslazione che avvenne il famoso miracolo dell’olmo: all’uscita della chiesa, dopo la cerimonia della sepoltura, poichè i buoi che trasportavano la salma del Beato Amato non volevano procedere il bovaro esasperato piantò a terra il pungolo e non riuscì più ad estrarlo. Ne nacque un olmo; di fronte a questo prodigio tutti applaudirono e da allora sino ad oggi la pianta fu chiamata “l’olmo del Beato Amato”.
L’olmo fu circondato da un muro nel bel mezzo della piazza dove aveva le sue radici, e poi fu collocato nella prima casa a sinistra della via maggiore che parte dalla piazza.
Ufficialmente Beato nel 1776
Fu ufficialmente dichiarato Beato da Pio VI il 17 marzo del 1776 a conclusione di un regolare processo di canonizzazione promosso dal comune di Saludecio nel 1774.
Il 9 ottobre 2013 Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del Beato Amato, in vista dell’approvazione di un miracolo attribuito alla sua intercessione che ora ne permette la canonizzazione, che avverrà domenica 23 novembre.