Da Rimini a Lagos, la capitale economica dello stato più popoloso dell’Africa, la Nigeria. La città, oggi una metropoli di oltre 20 milioni di abitanti, deve affrontare diversi problemi, tra i quali la microcriminalità organizzata, le morti per una semplice febbre o dissenteria e la malnutrizione diffusa soprattutto tra i bambini. In Nigeria, la probabilità che bambini sotto i cinque anni muoiano, è pari a 120 ogni 1000 nascite. E certamente Lagos non fa eccezione. Tra le principali cause: l’inquinamento, il sovrappopolamento, l’assenza di un’educazione efficace e diffusa, l’impossibilità di accedere al servizio sanitario, che è a pagamento.
È proprio in questo deserto, dove sembrano regnare le forze del male, che fiorisce grazie a Loving Gaze, un’organizzazione no-profit di matrice italiana, un’oasi dove educazione e sanità sono gratuite. Attraverso Loving Gaze si sono costituite tre scuole, SS. Peter and Paul, St. John e Kona e un centro ospedaliero, St. Kizito, che ha tre poli nella città di Lagos. Oggi, direttrice del centro ospedaliero è la riminese, classe 1955, Alda Gemmani. Nel mese di agosto la dottoressa, appartenente all’associazione laicale nata in seno al movimento di CL, Memores Domini, è tornata in patria per raccontare, in due puntate, quello che avviene nella clinica di Lagos. Anche noi l’abbiamo incontrata per un’intervista.
Alda, lei era un’anestesista affermata presso l’Ospedale Infermi di Rimini. Perché è partita per Lagos?
“Bisogna tornare indietro al 1988, quando il nunzio apostolico della Nigeria chiese a tre memores domini di mettersi al servizio della diocesi locale. E così, nei pressi di una slum (baraccopoli, ndr) di pescatori nel 1991 è nata la prima sede della St. Kizito Clinics. Passerà ancora del tempo prima del mio arrivo a Lagos. Un’altra riminese già dal 2005 era a Lagos, Barbara Pepoli <+cors>(ora direttrice amministrativa di Loving Gaze, ndr), che oggi ho voluto portare qui con me, perché quello che io sto facendo attualmente nella clinica, è possibile nell’amicizia con tutti quelli che qui operano, come Barbara ad esempio, che, spinta dal desiderio di trovare una risposta ad una domande “Chi sono io?, Chi sei Tu?”, ha lasciato il proprio lavoro a Rimini ed è partita alla volta di Lagos”.
E mentre accadeva tutto questo, lei Alda era a Rimini.
“Era da diverso tempo che mi si chiedeva di andare a Lagos, ma avevo diverse obiezioni a proposito, finché nel 2009 ho capito che ero pronta. Chiara, una dottoressa della clinica, mi ha detto che c’era bisogno di me. Ho sentito questa richiesta, come un’iniziativa di Gesù su di me; lui mi dava la possibilità di rimettermi in gioco, ossia di ritrovare chi sono io, la mia identità”.
E che cosa ha trovato quando è arrivata a Lagos?
“Un immenso silenzio. Uno pensa di poter salvare da solo l’Africa, con le proprie forze, ma quando arrivi lì, capisci che nella vita si può servire senza guardare ai risultati. Quello che Gesù vuole non sono i tuoi risultati, ma sei tu, la tua vita. Nel rapporto con Dio, vale la pena vivere per la pienezza di colui che ogni giorno ti fa e ti dona la vita”.
Che cosa significa concretamente la sua frase “vivere giorno per giorno per la pienezza di colui che ti fa”?
“Nel mio lavoro significa capire la struttura umana delle persone che curi e capire come poter volere loro bene. Gli ammalati sono persone, persone uniche. E come tali devono essere guardati. In loro riconosci il volto di Cristo che ti chiede di essere servito. Un giorno, una giornalista chiede ad una donna di Lagos di raccontare la sua esperienza nella clinica di St. Kiziko e lei ha detto che in quel luogo aveva incontrato Dio e l’infermiere. Non è il buonismo che guida il rapporto con il bisognoso che hai davanti, ma il desiderio di fargli giocare la propria responsabilità”.
Potrebbe spiegarci meglio quest’ultima affermazione?
“Significa rendere protagonisti attivi le persone del luogo nel quale si opera. Voglio citare, a tal proposito, un episodio di cui Barbara mi ha raccontato. Quando è arrivata a Lagos, c’era una sola scuola, ma nel tempo il numero dei bambini che la frequentava è aumentato. C’era bisogno di un’altra scuola: per costruirla bisognava affittare un terreno. Così è iniziata un dialogo con i capi tribù degli Egun, per responsabilizzarli. Ebbene, dopo un lungo dialogo, si sono convinti a dare i loro risparmi per affittare un terreno, al fine di costruire un’altra scuola, perché desideravano che i loro figli potessero essere educati”.
Quale servizio offre la St Kizito Clinic?
“È un poliambulatorio di prevenzione e prima cura. In Nigeria la sanità è a pagamento. Qui nella nostra clinica invece tutto è gratuito. Il nostro obiettivo non è solo curare, ma anche educare. All’interno della clinica c’è anche un centro nutrizionale, che prevede non solo la cura dei bambini malnutriti, ma una vera opera di educazione delle madri, affinché imparino a preparare i cibi correttamente”.
Sara Castellani