La storia della Chiesa è patrimonio di tutti. Una città multietnica e multiculturale come oggi è Rimini, ha bisogno di storia per capire il presente ed aspirare ad un futuro migliore”. Il professor Andrea Riccardi è lapidario nella presentazione alla città dell’ultimo volume della Storia della Chiesa riminese. Dalla restaurazione ad oggi
Professor Riccardi, la sua presentazione è sembrata molto partecipata…
“Ho abitato a Rimini per molti anni, nella mia adolescenza, sono anche stato insignito della cittadinanza onoraria, dunque quella che ho esaminato, leggendomi quasi tutto il grosso volume, è la vicenda di un mondo a cui sono affezionato e che ho conosciuto personalmente negli anni ’50-60. Ma Rimini, come scrive Piergiorgio Grassi, architetto di questo volume, è la capitale del turismo, e anche ai tempi in cui la globalizzazione non esisteva, l’orizzonte si allargava per l’arrivo di centinaia di migliaia di turisti. Rimini emerge come una città romagnola particolare con suoi tratti specifici, con un’identità propria che marca le vicende politiche-religiose. In un certo senso Rimini è meno segnata dalle fratture e dai conflitti, pur essendoci stati nella vita cittadina, che caratterizzano le altre città romagnole, ma negativamente, è anche forse segnata da quella operazione di dimenticanza della storia o di riduzione a fatto di eruditi e non a fenomeno della città, negli anni della ricostruzione nel dopoguerra, quando lo slancio verso il futuro ha fatto sembrare la storia, con i suoi monumenti letterari e architettonici, quasi un retaggio di un passato poco importante”.
Queste particolarità di Rimini hanno influenzato la Chiesa?
“Certo, ma questa Chiesa ha influenzato Rimini con uno scambio continuo. Io credo che l’operazione che voi avete compiuto, per cui io ho tanta ammirazione, ricostruisca un pezzo di vicenda di questa città e metta a disposizione dei percorsi per chi voglia indagare sulla storia, ma anche un po’ sull’anima di Rimini. Il volume tratta un periodo molto lungo, dalla Restaurazione ai nostri giorni. Sono tanti avvenimenti: la restaurazione della Società cristiana negli stati pontifici, l’Unità d’Italia, lo stato laico, le due guerre mondiali, il fascismo, la Repubblica, la ricostruzione, poi il Vaticano II ed il passaggio al XXI secolo. In questa storia si affolla una miriade di personaggi importanti o meno. Ma è anche la storia di un popolo credente di cui si seguono le vicende sulle tradizioni e la religiosità popolare”.
Come si presenta il volume?
“È diviso in due parti che sono differenti, ma che si compenetrano. La storia della Chiesa di Rimini capitolo per capitolo, ma poi, quelli che vengono chiamati approfondimenti, sono dei pezzi di questa storia (la carità, la stampa, l’arte, la musica, la santità, le missioni, il seminario…) che attraversano i due secoli. È una vicenda in cui si affollano tante figure, vescovi, preti che rappresentano momenti storici, angoli di vita, un’iniziativa carismatica, come don Benzi o don Ugolini, i preti murriani, ma anche laici, uno per tutti Alberto Marvelli, una breve vita, ma molto significativa per Rimini e la sua Chiesa”.
Lei, con altri, ha definito questo ponderoso volume un monumento. Ma chi lo leggerà?
“Me lo sono chiesto anch’io all’inizio. È infatti un’impresa rischiosa, come è possibile narrare una storia così complessa, frammentata, vicende minori, alla fine, apparentemente, poco interessanti? Non c’è forse il rischio di fare per la storia di Rimini la proiezione su scala locale di vicende nazionali? Beh, queste sono domande che richiedono un’arte di scrivere la storia locale. Io sono convinto che scrivere una storia locale è più difficile che scrivere una storia nazionale, perché in un microcosmo bisogna rispettare le proporzioni della realtà, ma allo stesso tempo bisogna narrare. Perché come diceva il grande studioso polacco Geremek “la storia è un misto di scienza e di poesia”, ma se non c’è un po’ di poesia la storia è inaccettabile, è ininteressante e allora bisogna avere la capacità narrativa assieme alla capacità scientifica. Il risultato mi è sembrato più che buono”.
Alla presentazione del volume in Arengo c’era molta gente e lei ha elogiato la scelta del sito…
“Sono molto contento della scelta dell’Arengo, perché la storia della Chiesa non è una storia per i cattolici o una storia ecclesiastica, ma è un contributo alla storia di una città. Come diceva molto bene un grande storico dell’età moderna e contemporanea, Gabriele De Rosa “Dalla Chiesa si osserva la storia della società”. Efficacemente scriveva “noi storici socio religiosi saliamo dal campanile, ma non vediamo solo dentro la Chiesa, noi vediamo attorno alla Chiesa”. Non si può fare storia della società italiana di ieri, ma anche di oggi, senza dare al cristianesimo la parte che merita”.
Una rivendicazione da storico cattolico?
“No, questa è la rivendicazione dell’identità di questa società. Leggendo questi contributi mi sono appassionato, perché li ho trovati un aiuto a capire meglio la storia sociale politica oltre che religiosa di Rimini. Marc Bloch, grande storico francese, insegnava che il cristianesimo è una religione storica e la Chiesa vive nella storia. In un certo senso, ed è bella la continuità dei quattro volumi, c’è una continuità emblematicamente rappresentata dalla serie dei Vescovi della Diocesi. Ciò non vuol significare che questa continuità non sia piena di rotture, nella città e nella Chiesa: la Rivoluzione francese, la Restaurazione, le guerre, la ricostruzione, il Concilio. Il grande teologo francese Chenu diceva che il cristianesimo è nella storia, ma nella storia di tutti, dei credenti e dei non credenti, e di un’altra grande categoria di attori, che sono i credenti a modo loro, perché in ogni stagione della storia anche delle stagioni più confessionali, come quelle dello Stato pontificio, emerge in queste pagine, ci sono stati credenti a modo loro, come, per esempio, quelli cui piaceva un bel carnevale che andasse sopra la quaresima e che non accettavano il conformismo confessionale dell’epoca”.
Dunque la Chiesa come realtà che vive e produce storia…
“Lo sappia o non lo sappia, una Chiesa locale si porta dentro la storia in modo profondo, anche se questa storia per molti non è leggibile. C’è un’ analfabetismo di fondo. La storia scritta nei tempi più antichi, è fatta di scelte pastorali, ma addirittura di invocazioni di fedeli che si connettono ai luoghi. Guai se la Chiesa dimentica la propria storia. Un vissuto religioso senza storia è un vissuto a rischio, perché il senso della storia è connesso alla speranza del futuro. La Chiesa è piena di storia. Pensiamo alle reliquie, come senso della presenza di un santo o di un martire nell’oggi, la conservazione dei luoghi santi, il ricordo delle origini. Sono tutti aspetti della dimensione storica del cattolicesimo, che ha segnato la mentalità delle nostre terre e anche la cultura civile. In questo senso non conoscere la storia del cristianesimo significa non saper leggere sia la storia della chiesa, sia la storia civile”.
A Rimini da tempo si denuncia la perdita di identità della Città…
“Per ogni persona la storia, come diceva Pietro Scoppola, è la ricerca della propria identità. La storia si connette anche alla fame di futuro. Le realtà che coltivano la memoria della storia non sono decadenti, le realtà decadenti sono quelle che vivono nel passato”.
Dunque altro è tradizione, altro tradizionalismo…
“Il tradizionalismo cattolico è una realtà senza storia, vorrebbe essere immutato da sempre, ma il senso della storia si lega alla lettura del presente e alla fame di futuro. È il grande tema del segno dei tempi di Papa Giovanni, ripreso dal Concilio. Per una Chiesa leggere la propria storia è rinunciare a quell’analfabetismo che caratterizza le nostre società liquide”.
Lei nel suo intervento ha dedicato molto spazio al vescovo Biancheri…
“Monsignor Biancheri, giovane vescovo ligure arriva nel 1953 e rimane fino al 1978, dunque attraversa tutto il periodo conciliare. Nel preconcilio Biancheri percepisce la crisi imminente, coglie che le difficoltà religiose di Rimini non sono attribuibili all’altro. Dalla Restaurazione al Concilio la scristianizzazione è sempre stata colpa dell’altro, dei liberali prima, dei protestanti, poi dei comunisti. Biancheri si interroga sui problemi e i limiti della cristianità riminese e questa è una emancipazione da una mentalità di restaurazione. Biancheri si staglia come un vescovo classico, ma con grande sensibilità pastorale. Nel 1962 fa fare un’inchiesta sulla religiosità dei riminesi, un’inchiesta in cui coglie la città che si sta secolarizzando. In una diocesi, pur non grande come Rimini, capisce un altro fatto profondo, che la chiesa non è un esercito, ma una realtà ormai complessa, con storie e sensibilità diverse. Nel clima caldo del ’68 questa diversità si fa conflittualità intraecclesiale, come accade nella società, nei partiti, nella cultura, nelle associazioni… È molto bella la sua lettera del 1970, Edificare la chiesa, in cui dice: “C’è un pluralismo, ma la liturgia è il momento unitario e bisogna creare gli organi di partecipazione come spazio di ricomposizione”. Rimini è ricca di espressioni ecclesiali, con un mosaico di pluralismo molto forte. In questo contesto il Vescovo è accusato di mancanza di una linea. Nel 1974 interviene e dice: la linea della nostra diocesi è quella del pluralismo pastorale. Ciò è molto interessante. È il problema del rapporto chiesa-città oggi. Abbiamo visto il progetto della città cristiana com’era con lo Stato pontificio, o della città laica in cui il cattolicesimo si faceva movimento intransigente. Oggi invece vediamo dopo il Concilio una chiesa che ha tanti volti, che è complessa, con linee diverse di spiritualità, ma che non è divisa. Ci sono nel libro pagine belle che raccontano di una Chiesa in cui si discute e si litiga. Io penso che bisogna un po’ tornare più a discutere nella Chiesa, ma non perchè ci si odia, ma perché si hanno idee. E questo dovrebbe essere, positivamente, in tutta la società”.
Una conclusione…
“Rimini città provinciale, è stata per il turismo un po’ una città globale ante litteram. Il mondo dei turisti ha portato qualcosa che ha sconvolto un’omogeneità di costumi e la chiesa ha rappresentato una radice identitaria. L’episcopato di Biancheri ha focalizzato il rapporto Chiesa-Città in modo molto moderno e attuale. Una chiesa diversificata e plurale, ma allo stesso tempo una chiesa che è chiesa della città, che segna l’orizzonte della città e che oggi rappresenta una delle rare radici identitarie e culturali della nostra società, con una lunga continuità. In questo senso fare storia è riconoscere che una città ha anche un’anima”.
a cura di Giovanni Tonelli e Melissa Parolo