Nella Wartburg è andata in scena Tannhäuser, l’opera che Wagner ambientò proprio nell’antico castello medievale
EISENACH, 5 ottobre 2023 – Una musica meravigliosa e avvolgente, in grado di sedurre ogni ascoltatore. Tannhäuser, però, non vive solo di un’appagante bellezza, perché la vicenda delineata in questo capolavoro wagneriano si basa su una stratificazione di significati. Le oscillazioni del protagonista (incapace di risolversi tra Venere, quintessenza di una carnale sensualità, e l’antitetica figura dell’angelicata Elisabetta) sono d’impatto immediato: tuttavia, questa radicale polarizzazione fra due ideali femminili s’interseca con leggende medievali, rielaborate attraverso la lente romantica, che rendono il quadro complessivo assai più complicato. Come sempre autore anche del libretto, Wagner si è infatti appropriato di figure legate alla Storia e che in area tedesca appartengono al lessico familiare: dalla figura di santa Elisabetta d’Ungheria, realmente vissuta agli inizi del 1200, alle tenzoni poetiche fra i Minnesänger (corrispettivo nordico dei trovatori), espressione della cultura germanica nel XII e XIII secolo. Salvo poi reinventarle con la sua sensibilità ottocentesca.
Ascoltare Tannhäuser nella Wartburg, il maestoso castello (patrimonio mondiale dell’umanità, tutelato dall’Unesco) che domina la città di Eisenach, in Turingia, assume così un inedito valore simbolico. L’imponente maniero, la cui costruzione cominciò poco dopo l’anno mille, ha svolto un ruolo storico fondamentale: sia ospitando quelle tenzoni poetiche che sono al centro pure del Tannhäuser sia come dimora di santa Elisabetta e, per un periodo, ha accolto anche Lutero quando venne scomunicato dal papa.
Lo Staatstheater di Meiningen, come è solito fare ormai da alcuni anni, ha allestito in forma semiscenica uno spettacolo nella suggestiva Sala grande del castello, sfruttando abilmente uno spazio non teatrale, senza compromettere condizioni di visibilità e ascolto. Il merito spetta in gran parte alla magnifica orchestra Meininger Hofkapelle che, pur priva delle dimensioni wagneriane, non ha fatto rimpiangere la maestosità di organici più ampi. A guidarla il giovane Killian Farrell, suo direttore principale, magari poco propenso al grande afflato romantico ma sempre molto preciso, attento a garantire una buona varietà dinamica e a non sopraffare i cantanti, penalizzati dalla mancanza di buca orchestrale.
Sopraelevata su una pedana e con gli strumentisti alle spalle, una compagnia di canto ben rodata e omogenea nel suo insieme. Avvalendosi delle scene semplicissime di Kerstin Jacobssen e dei costumi di Stephanie Geiger, il regista Hansgar Haag si è limitato a pochi movimenti, puntando soprattutto sulle capacità espressive dei singoli interpreti. Ha dedicato molta attenzione, invece, nel regolare entrate e uscite dell’ottimo coro (preparato da Roman David Rothenaicher), in modo da garantire suggestivi effetti nella spazializzazione del suono. Il tenore Corby Welch è stato un convincente protagonista, che ha saputo mantenere intatta la saldezza vocale nell’intero arco della serata. L’avvenente Deniz Yetim – capelli neri corvini, fasciata in un sinuoso abito di velluto – ha interpretato Venere, riuscendo a mantenere una sensuale timbratura anche laddove la musica di Wagner diventa molto tesa. Bionda e fisicamente morbida, Lena Kutzner è stata un’Elisabeth ben salda – bravissima nel concertato finale del secondo atto – e molto intensa nel trasmettere le emozioni del personaggio. E quando appare sulla scena per cantare lo struggente inno alla Wartburg (Dich, teuer Halle) le sue parole si caricano di significati che in teatro sarebbe difficile replicare. Wolfram era interpretato da Shin Taniguchi, un baritono dalla voce non troppo rotonda, ma molto espressivo e duttile in palcoscenico. Robusta emissione da autentico basso quella di Selcuk Hakan Tiraşoğlu, nei panni del Langravio. Il ruolo di Walther von der Vogelweide, altro storico Minnesang al pari di Wolfram, era affidato a un apprezzabile tenore di grazia come Raphael Helbig-Kostka, mentre Johannes Schwarz, un basso sempre molto sicuro, interpretava Biterolf. Il soprano Elisabetha Kapanadze è stata un pastorello dalla voce fissa: non un difetto, perché in tal modo è riuscita a imprimere al suo canto una suggestiva impressione di melopea arcaica.
Inutile sottolineare l’entusiasmo di un pubblico che, numerosissimo, affollava la sala fino all’ultima sedia: in Tannhäuser riconosce precisi valori identitari, legati alla cultura tedesca. Un po’ come succede da noi con certe opere di Verdi.
Giulia Vannoni