Continuiamo a raccontare la storia di James Hanry Longino (”James Henry Longino, il paracadutato”, il Ponte n.31 del 1 settembre 2013), il giovane aviatore americano che nell’estate del ‘44 venne accolto da una famiglia di mezzadri di Maiolo. Fallita la sua missione – su Bologna – dovette ripiegare verso la Romagna e alle 13.40 del 5 giugno del 1944 con il suo equipaggio si paracadutò. A caccia delle persone che lo hanno aiutato e delle tracce degli aerei che hanno transitato sulla Romagna intorno a quella data, la storia riparte da qui…
In quel libro, gli aerei censiti sono stati suddivisi per Comune, ove erano avvenuti gli incidenti, e per data. Mirando alla data indicata e alla probabile zona che mi era stata citata, Forlì, ho trovato subito dei riscontri positivi. In provincia di Forlì, esattamente in data 5 giugno 1944 era precipitato un B 24 americano: due elementi, luogo e data, trovavano subito conferma. Leggendo le pagine relative a quel velivolo, vi ho trovato menzionata anche la composizione dell’equipaggio:“Undici aviatori si lanciarono sul cielo di Forlì, pilota 1 st Lt. Henry J. Saborsky, copilota 2nd Lt. James H. Longino, navigatore… di questi uno solamente, il copilota, riuscì ad eludere la cattura rimanendo nascosto sino all’ottobre successivo”.
Non poteva essere una coincidenza, era proprio lui.
Una cosa mi ha sorpreso molto: la data in cui era avvenuto il fatto era la stessa di quando si era dovuto lanciare con il paracadute anche Max E. Johnston, sul quale avevo appena terminato la ricerca consegnata all’amico Nucci. Era incredibile. I due episodi avevano numerose similitudini. In entrambi i casi si trattava di aerei da bombardamento pesante con almeno una decina di uomini di equipaggio. Nel caso di Johnston, era un B17 del 301° BG basato sull’aeroporto di Lucera (Foggia) e nel caso di Longino, di un B24 del 98° BG basato sull’aeroporto di Lecce. Entrambi erano stati abbattuti dalla contraerea, sul territorio della provincia di Bologna che, a quanto vediamo, non scherzava affatto in quella zona. Nel primo caso l’obiettivo era il viadotto ferroviario di Vado nel comune di Marzabotto, nel secondo lo scalo ferroviario di Bologna. Tutti i componenti degli equipaggi erano riusciti a lanciarsi con il paracadute, una parte era stata catturata e inviata nei campi di prigionia in Germania, mentre alcuni erano riusciti a far perdere le proprie tracce. In entrambi i casi gli aviatori sfuggiti alla cattura erano stati aiutati dalla popolazione locale che, a rischio della propria vita, li aveva tenuti nascosti per alcuni mesi, fornendo nascondiglio e vitto come meglio potevano. Gli aviatori fuggiti hanno potuto fare tutti rientro nelle proprie linee, ed io ho avuto la fortuna, in entrambi i casi, di poter parlare con persone che erano state parte attiva nelle due vicende che si sono svolte contemporaneamente in due luoghi diversi distanti tra loro una trentina di chilometri.
Dopo circa una settimana da quando Nucci mi aveva informato della notizia su Maiolo, mi ha richiamato per dirmi che la madre di una sua amica di Pietracuta aveva notizie su un altro aviatore alleato. Forse si trattava del secondo aviatore di cui mi parlavano i Selva. Di una storia analoga avevo già letto qualcosa nel libro Memorie della guerra vissuta in Sogliano al Rubicone dal 1944 al 1945 di Monsignor Michele Rubertini. Si trattava di un aviatore che era atterrato con il suo apparecchio sul greto del Fiume Uso in località Ponte Uso, citato anche nel libro di Lanconelli – Raccagni. Ho informato Nucci di questo dettaglio, il quale dopo qualche giorno mi ha confermato che si trattava proprio di quell’episodio. Questo poteva essere un nuovo filone di ricerca.
Un po’ di storia
Come mai due storie così simili? Cosa stava capitando sui cieli italiani in quei terribili giorni? Con lo sbarco in Sicilia, ha inizio la lenta ma inesorabile avanzata degli alleati lungo la penisola italiana, sapientemente rallentati dalle truppe del Feldmaresciallo Kesselring, un mago in questo campo, che nulla di più poteva fare con le forze a sua disposizione. Dovrà trascorre ancora più di un anno prima che gli alleati giungano sino alla Romagna. Con la conquista da parte alleata delle basi aeree della Puglia, della Sardegna e della Corsica, gli alleati vengono a disporre di nuovi ed importanti aeroporti che riducono notevolmente la distanza dagli obiettivi che devono colpire i bombardieri e quindi aumentare, di conseguenza, il carico bellico trasportabile. Ora persino Berlino era entrata nel raggio d’azione degli aerei che partivano da Sud. Uno dopo l’altro, i vari reparti di volo, basati sugli aeroporti dell’Africa Settentrionale vengono trasferiti sulle basi italiane esistenti o su quelle realizzate in poco tempo con i potenti mezzi a disposizione degli alleati. Tra campi primari e alternativi, nel 1945 in Puglia risulteranno efficienti circa un centinaio di basi aeree, dove complessivamente operano oltre 4.000 aerei di ogni tipo e migliaia di uomini addetti a tutte le operazioni necessarie a far funzionare una così poderosa macchina bellica.
Nel giugno del 1944 la grande forza aerea “invadeva l’Italia”. La Puglia viene scelta per le basi dei bombardieri B17- B24 della M.A.S.A.F. (aviazione strategica). La Campania, la Sardegna e la Corsica per i gruppi di volo dei bombardieri dotati di B25 – B26 – A20 della M.A.T.A.F. (aviazione tattica).
Durante l’inverno 1943-44, gli eserciti sono schierati lungo la linea del fronte che congiunge le città di Ortona sulla costa adriatica e Gaeta su quella tirrenica, denominata Linea Gustav. Il perno della linea difensiva è costituito dal monte sul quale sorge l’antica Abbazia di Cassino, dove i paracadutisti tedeschi si sono asserragliati e gli alleati non riescono a farli arretrare. La situazione di stallo prosegue sino all’arrivo della buona stagione, infatti solo nel maggio del 1944 gli alleati riescono a spezzare le difese tedesche a Cassino e ad aprirsi la via per Roma, liberata il 4 giugno dello stesso anno, un giorno prima dello sbarco in Normandia.
In previsione dell’imminente offensiva primaverile, il comando alleato ha programmato una serie di operazioni aeree con lo scopo di limitare al massimo l’afflusso dei rifornimenti tedeschi al fronte. Tutta la rete stradale e ferroviaria del Centro Nord Italia dovrà essere inesorabilmente colpita nei suoi punti nevralgici: stazioni, ponti, viadotti, gallerie, officine di riparazione e depositi di materiale ferroviario.
Tutto ciò sarebbe avvenuto senza preoccuparsi più di tanto di poter colpire anche le grandi aree cittadine, perché così si sarebbe ottenuto l’effetto secondario di indebolire il morale della popolazione. A questa operazione viene attribuito un nome significativo, “Operazione Strangle” che tradotto in italiano significa “Strangolamento”. Allo svolgimento dei raid, si sarebbero dedicati i bombardieri pesanti della 15a Air Force, e i bombardieri medi della 12a AF. Oltre a questi velivoli, sarebbero stati utilizzati anche i cacciabombardieri leggeri tipo Spitfire, P38 Lightning, P47 Thunderbolt, P51 Mustang.
Gli obiettivi di questi ultimi erano “targets of opportunity”, parole con cui si poteva identificare qualsiasi cosa viaggiasse sulle vie di comunicazione, dal treno, all’autobus, dal carro tirato da buoi e persino le biciclette. I monomotori potevano operare anche nei giorni di cattivo tempo, questo consentiva loro di attaccare in maniera costante gli obiettivi già colpiti dai bombardieri.
Presupposto fondamentale di “Strangle”, infatti, era l’interdizione simultanea di tutte le linee di comunicazione tra la valle del Po ed il Sud Italia. Nei mesi tra marzo e giugno inoltrato, non si contarono gli attacchi a ponti e viadotti, spesso danneggiati ma riattati velocemente, in alcuni casi, dai militari del Genio. Anche le vie marittime furono oggetto di attacchi, con i bombardamenti che colpivano i porti di smistamento dei rifornimenti. Questa l’Italia in cui “cadde” James Henry Longino.
Daniele Celli