Cristo è nato in una stalla.
Oggi le stalle non ci sono ormai più, ma Gesù sa benissimo dove nascere: ha solo l’imbarazzo della scelta.
Nelle stive dei barconi che portano profughi disperati a Lampedusa, appeso sotto uno dei tanti Tir che attraversano l’Europa; accalcato assieme a tanti altri su un camion che attraversa il deserto per andare dalla Somalia alla Libia, sperando di non dover fare lo stesso viaggio di ritorno, nel laureato che arrivato in Italia non trova di meglio che fare lo schiavo raccoglitore di pomodori a Rosarno; nella laureata in chimica che fa le pulizie sperando di dare un futuro migliore ai figli, nel tunisino che da sette anni non vede la famiglia e il suo ultimo figlio non l’ha mai visto perché sta girando invano l’Europa nella speranza di trovare un luogo dove fermarsi per costruire il futuro; nella signora rumena che deve trovare i soldi per operare il figlio perché nel suo Paese è tutto a pagamento. Ma anche nel nonno residente a Rimini che vive solo in casa e ogni giorno pensa con nostalgia ai figli e ai nipoti che non lo vanno a trovare e aspetta i volontari della Caritas che gli portano un pasto caldo e un po’ di compagnia; nella persona che dopo la separazione dal coniuge non riesce più a mantenere se stessa e la ex famiglia e fa un precipitoso viaggio in discesa: da una vita dignitosa in una casa, un residence, poi al dormire in macchina, passando dalla stazione per arrivare a chiedere una doccia e un pasto alla Caritas.
E nasce dentro ciascuno di noi. Possiamo credere che noi, proprio così come siamo, possiamo essere l’abitazione di Cristo, la stalla nella quale egli è nato per noi e per questo mondo.
Gesù pur immergendosi nella “carne dell’umanità”, avrebbe potuto scegliere una condizione umana di ricchezza e di grandezza;si presenta con la fragilità di un bambino nato da una famiglia povera, in una stalla, con una mangiatoia come letto perché “non c’era posto nell’alloggio”. La povertà di Gesù è disponibilità totale e condivisione di tutti i suoi beni: di ciò che è e di ciò che ha. Perché ciò che è e che ha non è un tesoro di cui disporre a piacimento, ma un deposito di cui rendere conto. “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9). Il mistero del Natale è certamente un mistero di povertà e impoverimento: Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri.
Gesù ha scelto per sé la condizione di povero fino alla povertà assoluta della morte in croce, per amare in maniera radicale i poveri, i crocifissi della storia. Tutta la storia della salvezza è il racconto di questa “scelta preferenziale per i poveri”, non una scelta “selettiva” ma “elettiva”.
Il popolo di Dio è un popolo di poveri liberati. I poveri sono gli “anawim”, coloro che stanno sotto, nei confronti dei quali Dio volge lo sguardo, Dio si curva su di loro. “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze”…perciò sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese, verso un paese bello e spazioso”. (Es. 3,7)
Così comincia la storia di liberazione che vedrà al suo centro l’incarnazione, passione morte e risurrezione di Gesù Cristo. Ma l’incarnazione parte da lontano. Il primo luogo dell’incarnazione non è Nazarteh o Betlemme ma questo curvarsi di Dio sul suo popolo oppresso. In tal modo offre il modello dell’agire per ogni essere umano.
Nel corso del tempo i poveri non saranno più gli Ebrei sfruttati dal faraone, ma coloro che sono privati di dignità e libertà: l’orfano, la vedova e lo straniero. Oggi in particolare sono gli stranieri che non hanno protezione e accoglienza, che sono esposti all’offesa e al ricatto. L’accoglienza e l’amore verso lo straniero e verso il povero non è solo una esigenza sociale o etica, ma è la riproduzione del modo di agire di Dio: “per questo ti comando di fare queste cose, perché il Signore ti ha liberato. Tu devi difendere, accogliere il povero perché hai fatto esperienza di libertà e di amore. Ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio: perciò ti comando di fare questa cosa” (Dt 17,18).
“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio”. (Levitico 19,33)
Lo “straniero” è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano. Negli “stranieri” la Chiesa vede Cristo che “mette la sua tenda in mezzo a noi” (. Gv 1,14) e che ”bussa alla nostra porta” (Ap 3,20). Questo incontro fatto di attenzione, accoglienza, condivisione e solidarietà, di tutela dei diritti dei migranti e di impegno evangelizzatore, rivela la costante sollecitudine della Chiesa che scopre in loro autentici valori e li considera una grande risorsa umana.
“Le famiglie dei migranti…devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Giovanni Paolo II).