Donne, figli, lavoro: se nascono sempre meno bambini non è solo un problema di salute legato all’allungamento dell’età media in cui, in Italia come in provincia di Rimini, avviene il concepimento del primo figlio. Come dimostra un’inchiesta del mensile TRE – TuttoRiminiEconomia, che torna in edicola e agli abbonati de ilPonte con il prossimo numero di domenica 9 ottobre, il problema è proprio la mancanza di un’occupazione stabile oltre che di adeguati servizi a sostegno delle neomamme lavoratrici.
L’articolo di TRE di cui riportiamo un’anticipazione in questa pagina, coglie spunto dalle recenti osservazioni sulla campagna sulla fertilità indetta di recente dal Ministero della Salute, per fare il punto sulle nascite in Italia e nel territorio riminese. Nascite che sono sempre meno. Dal 2014, nel BelPaese, il saldo naturale – la differenza tra nati e deceduti – è diventato negativo per la prima volta dal dopoguerra: le nascite, da meno 100mila nel 2014, sono scese a meno 162mila a fine 2015. I nuovi nati non sono sufficienti a coprire il vuoto lasciato dalle persone che muoiono, ma questo saldo naturale sarebbe peggiore se non ci fossero i figli degli stranieri: infatti, mentre, nel 2015, il saldo naturale dei cittadini stranieri è stato positivo per 66mila unità, quello dei soli nazionali è risultato negativo per 227mila, secondo dati Istat.
In Italia, le nascite sono in calo dal 2008 e il numero medio di figli per donna è sceso a 1,39: numero insufficiente a mantenere invariabile la popolazione (dovrebbe essere di almeno 2,1) e tra i più bassi d’Europa (il più elevato è in Francia 1,99 quello più basso in Portogallo 1,21).
Rimini non fa meglio. È dal lontano 1985 che il saldo naturale provinciale è diventato per la prima volta negativo, restandoci per tutto il periodo, salvo una ripresa negli anni Duemila, per precipitare nell’ultimo quinquennio.
I nati vivi, in questa provincia, erano 3.601 nel 1973 e sono scesi a 2.769 nel 2015 (dal 2009 sono compresi anche gli otto comuni dell’Alta Valmarecchia, quindi in realtà il declino è maggiore). E per fortuna che tra i nuovi nati ci sono sempre più figli di immigrati: senza di loro il saldo naturale sarebbe ancora più negativo, considerando che le nascite da famiglie straniere sono salite dal 4% del totale del 2000, al 18% nel 2013 (sono il 15% in Italia).
Dunque un neonato su cinque, a Rimini, è attualmente figlio di immigrati. Ed in totale sono 5 mila, in questo territorio, i figli di immigrati residenti nati in Italia (con il paradosso che frequentano le nostre scuole, vivono con i nostri figli, spesso parlano perfino il dialetto, ma non possono diventare cittadini italiani perché i loro genitori non lo sono).
Viene da chiedersi: il calo delle nascite è dovuto al fatto che le donne sono troppo impegnate con il lavoro? Non è il caso. Infatti, in questo Paese, con età compresa tra 25 e 54 anni, a lavorare sono meno di 58 donne su cento, lasciandoci dietro solo Grecia e Macedonia, quando nei paesi scandinavi sono occupate, nella stessa fascia d’età, più di 80 su cento.
Di fatto si dimostra il contrario: la fertilità è maggiore dove le donne hanno più opportunità di lavorare (Svezia, Danimarca, Regno Unito, Francia, ecc.). Poi, certo, ci vogliono anche servizi adeguati a cominciare dagli asili, ma non solo.
In provincia di Rimini, le donne con età compresa tra 15 e 64 anni che lavorano, nel 2015, sono meno di 55, quando in regione superano quota 60. Una differenza tutt’altro che recente e che ha le sue radici nelle caratteristiche dell’economia locale, dove è molto forte la presenza di un turismo stagionale.
La prova che tante donne riminesi, tra l’altro sempre più istruite e con laurea, vorrebbero lavorare ma non trovano un impiego, la si ritrova nel tasso di disoccupazione giovanile che nella fascia d’età 18-29 anni sfiora il 33% (16% quello degli uomini). Prima della crisi, nel 2007, era intorno al 12%. Così senza un lavoro, con pochi sostegni, pensare di fare dei figli non è certo una decisione da prendere a cuor leggero.
Primo Silvestri