A conclusione del Festival della Valle d’Itria un bel concerto diretto da Alvise Casellati con brani di soli compositori italiani
MARTINA FRANCA, 3 agosto 2017 – Un programma ben impaginato che accosta, ed è un dato abbastanza eccezionale, tre brani sinfonici di autori italiani. La quarantatreesima edizione del Festival della Valle d’Itria ha lasciato in serbo per l’ultimo appuntamento concertistico una piacevole sorpresa, mettendo a confronto tre diverse epoche: il trentaduenne Domenico Turi, un illustre (ma in Italia ben poco eseguito) operista e sinfonista a cavallo tra otto e novecento come Alberto Franchetti e, fra i due, il celeberrimo Nino Rota.
Sul podio dell’Orchestra Internazionale d’Italia, il direttore padovano Alvise Casellati ha aperto la serata con I gnostr, scritto da Turi nel 2012: primo lavoro sinfonico del giovane compositore pugliese, non ancora eseguito in Italia, ma solo in Germania. Il titolo allude ai vicoli dei nostri centri storici e il brano colpisce per la libertà del suo linguaggio, non immediatamente riconducibile a ideologie o scuole, pur avvalendosi di una scrittura molto rigorosa. Una musica ricca di fascino per le atmosfere evocate, costruita su una ben articolata fascia sonora in cui affiorano inserti melodici inseriti con estrema naturalezza, che le conferiscono una notevole plasticità.
L’interesse maggiore della serata era forse nei confronti della Sinfonia in mi minore di Franchetti, eseguita a Dresda per la prima volta nel 1886 dove destò molta sorpresa ed ebbe una vasta eco. Conosciuto quasi esclusivamente come operista, il torinese Franchetti (di padre italiano e madre tedesca) completò i suoi studi musicali in Germania, ma, essendo ebreo, il suo nome cadde poi sotto l’ostracismo delle leggi razziali. Un brano molto suggestivo e di grande impatto all’ascolto, dove nel primo movimento, ‘allegro un poco agitato’, traspare una profonda conoscenza del tardo sinfonismo tedesco – Brahms in primis – mentre nel secondo, ‘larghetto’, si rintracciano quelle caratteristiche melodiche che più accomunavano Franchetti ai compositori italiani di quel periodo, soprattutto ai componenti della cosiddetta Giovane Scuola. Il suggestivo ‘intermezzo’ (terzo movimento) svela, invece, fascinosi legami con gli autori della tradizione slava, per far ritorno nel conclusivo ‘allegro vivace’ a vistosi effetti coloristici e timbrici che non hanno niente da invidiare a certe pagine del Rachmaninov americano.
Inserito fra i due brani, il Concerto in mi minore per pianoforte e orchestra “Piccolo mondo antico” di Nino Rota, autore ben noto soprattutto per la sua produzione legata al cinema. E infatti, ascoltando la musica di Rota, si rimane sempre un po’ delusi per dover fare a meno delle immagini. Eseguita per la prima volta a Napoli nel 1978, questa partitura si rivela facile e accattivante all’ascolto: grazie alla bacchetta di Casellati, che le imprime un andamento molto fluido, e all’abilità alla tastiera del bravo Alessandro Taverna, che ha dovuto sostenere un grosso impegno tecnico soprattutto nel primo movimento, ‘allegro tranquillo’. In accordo con il titolo, il trentatreenne pianista veneziano ha saputo ricreare atmosfere garbatamente retrò, che – dopo un secondo movimento dall’andamento lirico (‘andante’), dove l’ispirazione di Rota appare forse più debole – ritornano nel conclusivo ‘allegro’. Grande successo, e meritatissimo, per il solista e legittimo orgoglio fra il pubblico per aver ascoltato musica italiana. Con la consapevolezza, una volta tanto, di non aver niente da invidiare agli stranieri.
Giulia Vannoni