L’insieme di tutti gli atti di vessazione, umiliazione, molestia e diffamazione agiti attraverso mezzi informatici quali sms, email, siti internet, blog viene definito cyberbullismo. Si tratta di un fenomeno in crescita perché aumenta insieme alla diffusione esponenziale di tablet e smartphone. E pur non esistendo ancora in Italia una legge che lo riconosca come reato penale, sono molte le fattispecie criminose ad esso collegate: diffamazione, molestie, stalking, pedopornografia.
Ne parliamo con l’avvocato Eleonora Nocito, criminologa iscritta alla Camera Penale di Pesaro e socia della Società italiana di Criminologia, che abbiamo conosciuto in occasione di un incontro promosso dalla parrocchia N.S. Di Fatima di Rivabella dal titolo: Cyberbullismo: riconoscerlo, affrontarlo, contrastarlo. L’avvocato Nocito ha condotto diverse ricerche su queste tematiche, di cui si occupa da tempo, e promuove percorsi di prevenzione e informazione nelle scuole.
Avvocato, che differenze esistono tra il bullismo tradizionale e il cyberbullismo?
“Sono due fenomeni molto diversi. Casi di bullismo solitamente si verificano in ambito più circoscritto (generalmente a scuola), con persone conosciute, con le quali la vittima interagisce faccia a faccia. In questi casi, inoltre, sono presenti spesso degli spettatori.
Nel caso del cyberbullismo tutto invece avviene in maniera anonima, dietro a uno schermo, e con una possibilità di diffusione massima, in brevissimo tempo. Spesso poi non ci sono spettatori ed eventuali prove possono essere facilmente eliminate dalla Rete. Un altro elemento importante concorre ad aggravare il fenomeno del cyberbullismo: lo schermo del computer mette una distanza che, oltre ad essere garanzia di anonimato, spesso produce anche una forte riduzione del senso di colpa in chi commette atti vessatori. Dietro a uno schermo ci si sente più forti, in grado di pronunciare parole che nella vita reale non avremmo mai il coraggio di dire, è più difficile provare senso di colpa o rimorsi per quanto è stato detto o fatto perché non si guarda la vittima negli occhi. Si parla in questi casi di vera e propria online disinibition”.
Dalle sue ricerche emerge un identikit di chi commette atti di cyberbullismo?
“Sono in genere bambini e ragazzi di età compresa tra i 10 e i 16 anni, studenti, che hanno una relazione di qualche tipo con la vittima e con capacità informatiche superiori alla media. A volte sono essi stessi vittime di bullismo in altri contesti. Quasi sempre hanno un carattere impulsivo, difficilmente riescono a tollerare le frustrazioni. Ma soprattutto un tratto comune a tutti questi ragazzi è la tendenza a sottovalutare la gravità delle azioni commesse. Assistiamo inoltre anche al fenomeno del cyberbullismo al femminile: in questi casi solitamente le femmine si organizzano in branco e tendono soprattutto a mettere in atto atteggiamenti volti all’esclusione della vittima oppure a colpirla con maldicenze e calunnie”.
E, invece, le vittime?
“Le vittime solitamente sono bambini e ragazzi con una bassa autostima, particolarmente timidi o fragili. Anche in questo caso c’è un tratto in comune quasi a tutti: la vergogna che questi ragazzi provano e che li porta spesso a nascondere quello che accade o – paradossalmente – ad assumersene la responsabilità, forse per dare un senso alla loro paura. Spesso le conseguenze psicologiche e psicosomatiche che il bullismo informatico ha sulle vittime sono molto gravi: dalla perdita di capelli ad attacchi di panico, da disturbi alimentari fino a pensieri suicidi (che purtroppo in alcuni casi si traducono in drammatica realtà)”.
Quali consigli si sente di dare agli adulti (educatori, insegnanti, genitori…) rispetto a questo tema?
“Una maggiore attenzione a queste problematiche da parte degli insegnanti sarebbe non solo auspicabile ma necessaria. Spesso infatti gli insegnanti non si rendono conto di quello che accade e quasi nessuno dei ragazzi che ho intervistato e che ha subìto atti di cyberbullismo ha avuto l’opportunità di confidarsi o chiedere aiuto agli insegnanti, privilegiando invece come confidenti i propri pari. Per questo il cyberbullismo è un fenomeno che tende spesso a rimanere sommerso. Agli insegnanti mi sento soprattutto di consigliare di aumentare il controllo anche nei momenti meno strutturati (ricreazione, cambio dell’ora…), diffondere consapevolezza, aggiornare anche le proprie competenze tecnologiche, informarsi e informare. Importante è anche la collaborazione con i genitori delle vittime, ai quali è affidato il compito di non far sentire soli i propri figli, di rafforzare la loro autostima dando valore ai sentimenti e alle emozioni che i ragazzi in quel momento stanno provando, prestando attenzione a tutti i cambiamenti psicofisici o agli sbalzi d’umore che possono essere in alcuni casi un campanello d’allarme”.
E a un genitore che scoprisse che suo figlio ha agito comportamenti di cyberbullismo nei confronti di altri ragazzi?
“È importante, innanzitutto, non negare o minimizzare il problema. Tutti ricorderete l’episodio dello scorso ottobre in cui un gruppo di ragazzi seviziò un coetaneo perché obeso filmando le loro azioni e riportandole sul web e uno dei genitori commentò dicendo che si era trattato solo di uno scherzo, di una bravata tra ragazzi. Niente di più deleterio. Anche il bullismo va considerato per quello che in fin dei conti è: una manifestazione da parte dei ragazzi di profonda solitudine e di profondo disagio. Spesso è infatti l’unica modalità che questi ragazzi trovano per emergere all’interno di un gruppo o tra i loro coetanei”.
Dal punto di vista legale, come si può agire?
“Per via penale, amministrativa e civile. Il primo passo è una querela, che deve essere fatta entro tre mesi dall’avvenimento e può essere esercitata in modo autonomo dai ragazzi a partire dai 14 anni. Le indagini in questo campo spesso si rivelano molto difficili per mancanza di prove, per questo per difendersi è importante creare una riproduzione meccanica dei testi/video/immagini incriminati prima che vengano cancellati. Vorrei inoltre sottolineare come comportamenti che vengono spesso messi in atto con leggerezza possano trasformarsi in azioni con conseguenze penali. Anche un semplice mi piace su Facebook può essere concorso in diffamazione aggravata e, a volte, può bastare anche una semplice allusione messa nero su bianco o il banale furto di una password per gioco per subire conseguenze anche gravi.
In ogni caso di tutti i crimini informatici si occupa la polizia postale a cui è necessario fare riferimento”.
Quale ruolo possono avere le parrocchie come luoghi in cui affrontare queste tematiche?
“Sicuramente incontri informativi come questo sono molto importanti e ringrazio don Giuseppe Giovannelli per l’organizzazione di questo incontro in cui ho potuto approfondire questi temi sia con i bambini e i ragazzi sia con i loro genitori, catechisti, educatori. Ritengo sia fondamentale in ogni ambito sensibilizzare sulle reali conseguenze che anche banali scherzi tramite un cellulare o un pc possono condurre laddove dal semplice scherzo o litigio tra ragazzi si arrivi a trasformare i propri comportamenti in atti di bullismo e veri e propri reati. La prima forma di prevenzione passa dall’informazione e dalla sensibilizzazione dei ragazzi e degli adulti”.
Silvia Sanchini