di Federico Tommasini
C’è una frase che mi riecheggia in testa pensando all’argomento delle molestie sulle donne. È la frase di un proverbio: “L’uomo è cacciatore”. E purtroppo, di recente, per le strade di Rimini lo è stato veramente. Come ormai noto, lo scorso 5-8 maggio si è tenuta a Rimini e San Marino la 93° Adunata Nazionale degli Alpini. Un evento che ha fatto registrare centinaia di migliaia di presenze, per una festa che è andata avanti tra sfilate, eventi e discorsi pubblici, portando i cappelli con la penna in lungo e in largo per la città. Ma qualcosa non è andato secondo i piani e, soprattutto la notte, qualcosa è successo per le vie di Rimini. Un clima di festa e fratellanza che, purtroppo, al calar della notte, in alcuni casi, si è trasformato nel suo opposto: fiumi di alcol, schiamazzi e circa 500 segnalazioni di donne molestate proprio in quei quattro giorni.
È poco importante se a molestare siano stati realmente uomini appartenenti ai gruppi Alpini o degli infiltrati deviati, quello che conta realmente sono le molteplici denunce e segnalazioni arrivate agli uffici pubblici all’indomani dell’evento. Per arginare il problema delle molestie all’adunata è stato proposto di vietare il raduno per due anni, ma credo che la soluzione non sia questa. Solo capendo che il problema sta nella visione che molti uomini (e non di certo solo Alpini) hanno delle donne e del loro corpo potremmo cominciare a parlare di un cambiamento.
La prospettiva dei giovani
Un cambiamento culturale e di mentalità che non può che arrivare dai giovani, che rappresenteranno la società del domani. Ci parlano di questo tema Paolo e Martina, riminesi di 18 e 20 anni.
Pensi che negli ultimi anni sia cambiata la percezione verso una molestia?
P: “Da quando abbiamo cominciato a dare un nome a quegli atti di molestia che ogni giorno possono accadere ad una donna (e non solo), la percezione di questi è aumentata: si è cominciato a riconoscere il loro vero peso. Il ‘catcalling’ è una molestia, non un apprezzamento. Ribadisco che sono giovane e mi baso sui racconti delle persone più grandi di me, ma so che in passato veniva tutto più tollerato; ora, per fortuna, le donne hanno trovato la forza di rispondere. Anche un ‘Ah bella’ urlato per strada reputato insignificante può colpire profondamente una persona”.
M: “Le molestie sono sempre esistite, ma la differenza sta nelle voci di noi donne che non tacciono più o almeno in maggioranza: c’è più attenzione a tutto per fortuna e questa sensibilità la avverto anche in alcuni uomini, che vedendo delle situazioni analoghe non rimangono indifferenti. La strada è ancora lunga, ma dico che siamo a buon punto e i miei coetanei mi fanno ben sperare per un futuro diverso”.
Come si sono comportati i tuoi coetanei appena hanno saputo delle molestie durante l’Adunata degli Alpini a Rimini?
P: “A nessuna delle ragazze che conosco personalmente è capitato di essere molestate durante l’Adunata, ma ho sentito storie di amiche di qualsiasi età che sono state vittime di palpeggiamenti, frasi moleste e persino pedinamenti in giro per la città. Tutto questo fa orrore. I miei amici maschi ed io ci siamo sentiti in colpa, perché siamo uomini, anche se materialmente non abbiamo mai commesso nulla di simile ed anche questo fa paura. Non dovremmo vivere in una società che applica questo trattamento verso il genere femminile o verso chiunque”.
M: “Noi ragazze ci siamo sentite chiamate in causa, anche perché il fatto è avvenuto nella nostra città e lo sentiamo ancora più vicino. In alcuni racconti delle ragazze molestate vengono descritti i posti in cui magari passeggiamo, portiamo fuori il cane. Abbiamo capito che certe volte non siamo al sicuro neanche a casa nostra. C’è paura, ma soprattutto tanta rabbia per la leggerezza dei molestatori che si vede nel video di un giornalista che ha documentato i fatti dell’Adunata: come se andassero a prendere un caffè al bar. Mi è difficile pensare che quelle persone possano provare rimorso”.
Ti senti di affermare che voi, che siete il futuro di questa città e di questo Paese, potreste cominciare a portare un cambiamento culturale e di mentalità rispetto a un argomento come questo?
P: “Dico di sì. Sono ottimista grazie a quello che vedo e sento tra i miei coetanei. Siamo costantemente bombardati di informazioni e stimoli da tutto il mondo e tutto questo ci aiuta ad essere tolleranti, aperti e rispettosi verso chiunque. Non dico che il problema si risolverà con il crescendo della mia generazione, perché ci sarà sempre qualcuno che tratterà male il suo prossimo, ma tante piccole cose mi fanno ben sperare”.
M: “Sicuramente, con il tempo la cultura cambia e la storia ce lo insegna: gli errori vengono riconosciuti e riparati. Siamo noi la classe del futuro e ciò che vedo dai miei amici mi fa ben sperare: c’è rispetto per la donna nella maggior parte dei casi e più sensibilità ai temi legati ad essa. Anche i maschi si sentono parte del cambiamento e penso che tutto debba partire da loro per migliorare la situazione”.
Cosa vuoi dire ad un uomo che legge questo articolo?
M: “Se ad essere fischiati foste voi, oppure palpati in mezzo alla folla mentre si passeggia? Tenetelo sempre a mente e immedesimatevi in noi donne. Non bisogna mai stare in silenzio quando succedono avvenimenti di questo genere, né per chi le subisce né per chi si trova a vederle. Anche una parola può aiutare a far capire che una donna non è da sola”.
Paolo, hai sostenuto che ti sei sentito in colpa per le molestie accadute, anche se in realtà non ne sei stato tu l’autore. Come mai?
P: “Perché sono uomo, vivo in una società maschilista e volente o nolente beneficio di tutti i vantaggi legati al mio sesso. Indirettamente mi sento colpevole, amo le donne e non mi spiego come si possa fare loro del male. Sono partito dal mio piccolo e ho cercato di cambiare le cose: porto rispetto, cerco di dare attenzione anche ai fatti che potrebbero ferire il genere opposto o chiunque. Tutto questo mi aiuta a lenire il senso di colpa causato da persone che con me condividono solo l’essere ‘uomini’”.
Cosa senti di dire a chi molesta?
P: “Non vorrei capire il motivo per cui lo fanno, non mi interessa. In realtà non avrei niente da dire. Anzi parlerei più che altro con le vittime, loro mi interessano: chiederei scusa a nome di un intero genere”.
M: “Mi dispiace dirlo, ma ora provo solo rabbia anche se non sono stata direttamente coinvolta, mi sento vicina ancora di più alla situazione perché i luoghi sono quelli in cui abito e potevo essere io lì a passeggiare. Non c’è giustificazione e solo col cambiare delle cose questa rabbia passerà”.