Moro per amore opera di Alessandro Stradella presentata in forma oratoriale a Lugo per la stagione del Rossini Open
LUGO, 11 settembre 2021 – Applicato a un’opera datata 1681, un titolo come Moro per amore fa subito pensare alle tribolazioni sentimentali su cui sono incentrati tanti libretti di quel periodo. Non che gelosie e rivalità amorose manchino nei versi di Flavio Orsini (dove tre coppie stentano a combinarsi prima di un lieto fine plurimo): qui però si gioca tutto sul doppio senso e si allude al travestimento del protagonista da schiavo moro, al fine di conquistare la bella Eurinda, regina di Sicilia. E se l’intreccio non si discosta troppo da tanti altri del seicento, a fare la differenza è la musica di Alessandro Stradella, caratterizzata da un’estrema varietà, che consente di definire gli ‘affetti’ dei personaggi in modo assai più moderno e sfaccettato di quanto faranno gli autori del secolo successivo.
Questo raro gioiello era inserito nel cartellone di Rossini Open: una rassegna estiva all’aperto che ha preso il posto della tradizionale stagione ospitata in autunno al Teatro di Lugo, da un paio d’anni chiuso per restauri. La collocazione en plein air, nel chiostro della Collegiata, per fortuna non è stata penalizzante, anche per merito del direttore Andrea De Carlo (dedito da anni alla riscoperta di Stradella e fondatore dell’omonimo festival barocco), che ha saputo ben calibrare le sonorità di un ensemble formato da dieci giovani esecutori – alcuni impegnati con più strumenti – molto bravi e tutti costantemente chiamati in causa, vista l’assenza di recitativi secchi.
Interessante anche la scelta dell’organico: solo due violini, viola da gamba, violoncello, contrabbasso, cembalo, organo, chitarre barocche e ben quattro tiorbe: un modo, forse, per avvicinarsi alle sonorità che riecheggiavano nei palazzi nobiliari romani, cui erano destinate queste musiche. L’accogliente cornice acustica ha giovato anche ai sette interpreti vocali, che fanno parte dello Stradella Y(oung) Project, nato in seno al Conservatorio Casella dell’Aquila con lo scopo di avvicinare giovani cantanti e strumentisti al barocco italiano.
Per la figura centrale il librettista Orsini, duca di Bracciano, ha preso ispirazione probabilmente dalla propria moglie, donna colta e in anticipo sui tempi: indifferente alla ragion di stato, la regina Eurinda è sinceramente innamorata del moro – una reminiscenza dell’Otello shakespeariano? – di cui ignora l’autentica identità e che crede un servo. A interpretarla il soprano Joanna Radziszewska, espressiva e sempre a suo agio nel canto ornato. Travestito da schiavo nero (ma in realtà bianco e figlio del re di Cipro, dunque un pretendente di rango) il controtenore Danilo Pastore che, dovendo scendere a patti con la vocalità del personaggio, ne ha privilegiato solo il lato patetico e intimista. Margarita Slepakova – la voce più importante del cast – è stata un’incisiva dama di corte, pure lei invaghita del finto servo anche se poi cederà alle più consone profferte amorose dell’ambasciatore Filandro, ruolo assolto dal tenore Carlos Arturo Gomes Palacio. Si è fatta apprezzare soprattutto per gli affondi contraltili Eleonora Filipponi, nei panni della nutrice Lindora: ovviamente a sua volta vittima del fascino dello schiavo, ma che più pragmaticamente si accontenta del paggio Fiorino (il soprano Alicja Ciesielczuk, molto sicura nell’unico ruolo ‘en travesti’) e formerà con lui una coppia di pari ceto sociale. Completava il cast Masashi Tomosugi, dotato di una solida voce di basso: è il saggio consigliere Rodrigo e nelle sue parole sembra di scorgere gli scontri di potere tra Francia, Spagna e Chiesa che si consumavano all’epoca nell’ambiente romano.
Un’opera dunque che non si limita a suggerire solo un ribaltamento delle convenzioni, ma – nello stesso tempo – rimanda a un contesto storico-politico ben più ampio e complesso. Se Stradella non fosse stato ucciso quando ancora non aveva compiuto trentanove anni e avesse potuto continuare la sua attività, forse la storia del teatro musicale avrebbe preso un andamento diverso nel secolo successivo.
Giulia Vannoni