Lo scorso 8 febbraio, durante la mattinata, chiunque avesse cercato di entrare a Rimini con la propria auto si sarebbe trovato davanti a una scena imbarazzante: il traffico completamente bloccato, per intere ore. Via Flaminia e via Tripoli sature di auto, immobili, tra clacson e nervosismo crescente, amplificato dalla totale assenza di chiarezza sui motivi del blocco.
Motivi che sarebbero diventati chiari nei giorni successivi: via Gueritti, la piccola e breve strada che unisce via Tripoli a via della Fiera, era stata chiusa per alcuni lavori (non autorizzati) eseguiti dal gestore di telefonia mobile TIM. Ma, al di là delle cause, restano gli effetti: la chiusura di una minuscola strada ha provocato il blocco totale del traffico di Rimini per un’intera mattinata. Sintomo della presenza di problematiche più profonde e radicate, che non toccano solo la mobilità, ma la visione generale della città (e del suo futuro) sotto molteplici punti di vista, come quello ambientale, sociale, energetico.
Ad analizzare questa generale situazione è Gianni Gurnari (nella foto), ingegnere e professore riminese impegnato a livello internazionale da oltre 50 anni, attraverso un’articolata e critica riflessione sull’oggi, e soprattutto sul domani, della nostra Rimini.
Ingegner Gurnari, le scene cui abbiamo assistito qualche giorno fa da cosa nascono?
“A Rimini non esiste un piano della mobilità.
Esiste un piano dei trasporti pubblici, che ragiona sulla loro efficienza ma che è cosa ben diversa. Il piano della mobilità è costituito da variabili differenti per fattori differenti, e ha obiettivi precisi: semplificare i movimenti, quando necessari, all’interno del territorio urbano; riflettere le esigenze dal punto di vista urbanistico e diventare un veicolo di promozione alla facile accessibilità della città.
Che situazione abbiamo, invece, a Rimini?
Una situazione in cui i mezzi pubblici non possono circolare nella maggior parte del territorio, non perché non ci sia necessità, ma perché non ci sono, in concreto, le condizioni di transito”.
Un problema certamente non recente.
“Già dagli anni Ottanta quello della mobilità era uno dei problemi più importanti di Rimini: nel tempo, però, i veri specialisti della mobilità urbana, in termini di viabilità e trasporto, sono stati spesso interpellati ma mai impiegati in concreto”.
Perché, secondo lei?
“Da una parte, in questo settore a Rimini c’è stato sempre un certo spirito di corporativismo, ma il problema principale è una chiarissima mancanza di cultura in questo senso: un vero piano della mobilità metterebbe in evidenza quali sono state le discrepanze tra la Rimini che era stata pensata, in modo corretto, nel passato e la Rimini moderna. Rimini, infatti, è stata pensata dal genio militare dei romani per avere due porte a Nord-Sud, due a Est-Ovest, e al centro una grande piazza di riferimento da cui partivano tutti i raggi che, tramite intersecazioni, permettevano di arrivare ovunque. Questo modello è stato poi stravolto, perché troppo complesso da portare avanti durante la ricostruzione della città”.
Cosa avvenne durante la ricostruzione?
“Nel secondo dopoguerra, Rimini fu ricostruita sulla base di specifiche esigenze e attraverso diversi approcci. Da una parte c’era l’esigenza di fare il più in fretta possibile, dall’altro c’è stato il tentativo di lasciare gli elementi più belli della città in vista ma non accessibili. Si tratta di una scelta, questa, drammatica, che oggi paghiamo sotto diversi aspetti: lo dimostra ciò che è successo pochi giorni fa in via Gueritti, che non è stato solo il risultato di uno sbagliato approccio alla mobilità, ma nasce da una mancanza di visione più ampia, che abbraccia anche questioni ambientali, sociali ed energetiche”.
Si spieghi.
“Se in una città, il blocco anche solo momentaneo di una piccola strada porta alla totale paralisi del traffico per ore, significa che qualcosa, in modo evidente, non funziona. Una situazione di questo tipo porta a due gravi problematiche in contemporanea: un enorme inquinamento e disagi dal punto di vista sociale, come il nervosismo, l’aggressività e tensioni dovute ai lunghi tempi di percorrenza, che nel tempo si ripercuotono enormemente sulla qualità della vita. Tutto questo è frutto di una totale mancanza di visione, che appare ancora più evidente se guardiamo la questione in prospettiva più ampia, dal punto di vista energetico: se tra vent’anni Rimini riuscirà davvero ad avere l’80% di veicoli elettrici o ibridi, per produrre l’energia necessaria alla loro ricarica servirà, paradossalmente, molta più energia di quella che serve oggi. Energia che, ovviamente, dovrà derivare da fonti rinnovabili: per questo la scelta dell’attuale amministrazione di dire no alla realizzazione del Parco Eolico è profondamente sbagliata da un punto di vista culturale e sociale, ulteriore segno di quella mancanza di visione. Non è possibile guardare al futuro nel segno delle energie rinnovabili e poi scaricare la questione sugli altri. È utopia”.
Mancanza di visione: facciamo degli esempi.
“Chiudere una delle due porte di accesso a Rimini, cioè San Giuliano, per farne un giardino ideale è un errore gravissimo. Negli anni ’80 si pensava
di realizzare un nuovo viadotto che attraversasse il Marecchia nella parte alta del parco oppure, addirittura, un tunnel che passasse sotto al fiume e proiettasse il traffico fuori da San Giuliano: oggi, invece, si è pensato di chiudere San Giuliano, e siccome le porte Nord-Sud sono solo due, il traffico è stato completamente congestionato su quella Sud. Inoltre, oggi l’unico asse portante mare-monte è via Tripoli, in cui la vita è praticamente impossibile: si è pensato di migliorare la situazione con due rotonde, ma creano solo disagio. Oggi, infatti, capita di avere delle code di auto che cominciano alla rotonda all’incrocio con via XX settembre e vanno fin oltre la rotonda di via Roma, completamente bloccate. Un vero disastro. Non solo: la rotonda dell’incrocio tra via Flaminia, via XX settembre e via Tripoli è un vero e proprio imbuto, sprovvisto di dossi o sistemi di rallentamento, in cui gran parte del traffico viene fatto confluire nella minuscola via Gueritti (proprio quella che era stata bloccata qualche giorno fa), un vero e proprio ‘budello’ di strada nel quale c’è anche il passaggio pedonale e un marciapiede, e tutto questo porta a un’altra rotonda, troppo piccola, con via della Fiera: una combinazione che, purtroppo, molto spesso porta a incidenti.
Solo un altro esempio, ma potrei andare avanti a lungo a elencare elementi di questo tipo: via Roma. Via Roma collega gli assi della città con un centro strategico della vita sociale che è l’ospedale. Sembra possibile pensare di ridurre questa strada così importante da quattro corsie a due corsie e mezza? Eppure è ciò che è stato fatto: le ambulanze, quando c’è la coda di traffico, dove passano? Questo è solo l’ennesimo esempio che dimostra come si sia persa la coscienza dei problemi reali.
Non si può più andare avanti prendendo decisioni finalizzate a ‘tappare i buchi’, per accontentare tutti nell’immediato, ma occorre prendere decisioni sulla base di una organica visione del futuro a lungo termine”.
Occorre un cambio culturale, di mentalità, dunque.
“Esattamente, la questione va affrontata a monte, proprio a livello culturale, educativo. E il cambio culturale di cui c’è bisogno deve essere un obiettivo di tutti: della classe dirigente, dei mezzi di informazione e anche della Chiesa, che proprio in questi momenti deve farsi presente, prossima, concreta nel proprio programma educativo e coraggiosa nelle scelte. La mancata visione del futuro porta alla perdita dell’identità, e Rimini sta perdendo la propria. E la responsabilità di questo, purtroppo, va attribuita alla mia generazione: abbiamo consentito, per indifferenza, per sottovalutazione o per evitare di andare personalmente in prima linea, che a prendere le decisioni fossero solo coloro che promettevano oro. Ed è un errore che ricadrà sulle generazioni future, per decenni”.
Come invertire la rotta?
“Innanzitutto abbattendo la prima, e immediata, barriera: la presunzione, l’arroganza e l’autoreferenzialità politica.
Smettere di prendere decisioni che risolvano solo le questioni nell’immediato, con l’intento di accontentare tutti, e guardare al lungo periodo, con persone che abbiano il coraggio di assumersi la responsabilità di fare scelte basate su una visione precisa del domani, che possano anche scontentare qualcuno per il bene di tutti. Occorre un enorme sforzo culturale, ma un approccio diverso è possibile. E deve partire dall’educazione, dall’analisi storica e da una sensibilità reale verso il bene collettivo, che è l’anima del servizio pubblico. In sostanza, dobbiamo tornare a una politica con la P maiuscola”.