Quando pensiamo agli avventurieri, solitamente ce li immaginiamo provenienti da terre lontane, esotiche, da mondi completamente diversi dal nostro. A guardare meglio, però, è possibile trovarne anche vicino a noi. Mirco Bettini, classe 1963, è un consulente finanziario per una banca internazionale. Riminese di nascita, cresciuto a Novafeltria e verucchiese di adozione, non potrebbe essere più romagnolo. Eppure, dietro a questo identikit comune, si cela un uomo in grado di esplorare le più selvagge terre africane in sella alla propria inseparabile moto. Sessanta, ad oggi, le esplorazioni in curriculum tra le terre del Maghreb, tra cui, poche settimane fa, il Tuareg Rallye, una delle competizioni internazionali più massacranti del mondo. 2000 chilometri in sette giorni, in macchina o moto, un percorso segreto fino alla partenza, 100 equipaggi partecipanti da 12 Nazioni diverse: Bettini si piazza tra i 27 piloti al traguardo della sua categoria, e sale in cima al podio nella classifica Expert e nella Over 50, con tre vittorie di tappa. Un successo, che lo stesso Bettini racconta in prima persona, mostrandoci il (poco conosciuto) mondo degli avventurieri moderni.
Bettini, ci racconti l’esperienza del Tuareg Rallye.
“Il Tuareg Rallye di quest’anno ha rappresentato il culmine del mio ritorno in Africa. Avevo interrotto, infatti, la mia attività agonistica nel 2002, dopo aver partecipato al Rally dei Faraoni in Egitto. Quattro anni fa, preso dalla voglia di tornare alle gare, mi sono iscritto al Tuareg Rallye, con la piacevole sorpresa di trovarmi subito competitivo. Da allora (2015), ho partecipato a tutte le edizioni, fino all’ultima di poche settimane fa”.
Con ottimi risultati.
“Si, quest’anno ho subito guadagnato, dalla prima tappa, mezz’ora di vantaggio sul secondo pilota e sono riuscito a mantenerlo senza fare errori: questo mi ha permesso di arrivare al primo posto nelle categorie Expert e Over 50”.
Un’esperienza che è solo l’ultima di una lunga serie. Quando è scoppiata questa passione così particolare?
“A fine anni ’80, poco più che ventenne, ho preso la licenza da pilota e ho cominciato partecipando ai campionati regionali di Enduro e, per diversi anni, al Campionato Italiano Motorally. Poi sono passato alle competizioni più dure, partecipando per due volte all’Erzberg Rodeo, una gara estrema che si svolge in Austria, con 1800 piloti. Ma, anche se ho cominciato di fatto a 20 anni, è una passione che ho sempre avuto. In Romagna, oggi, vedere ragazzini che salgono in sella fin dalla giovanissima età è la normalità, vengono quasi allevati in pista. Per noi, all’epoca, si trattava di una passione che doveva combaciare con la disponibilità economica. Ci adattavamo: quando avevo 12-13 anni, con i miei coetanei, andavamo con le motocross nei campi, in maniera molto improvvisata. Poi, a 18-20 anni, si iniziava a guadagnare qualcosa per permettersi una licenza da pilota e partecipare a qualche gara”.
E la passione per l’Africa ha fatto il resto.
“Nello stesso periodo in cui cominciavo la vita da pilota, sono stato colpito dal fascino delle prime gare Parigi-Dakar: vedere quei pazzi che, con mezzi sgangherati e improbabili, raffazzonati e fatti in casa, partivano all’avventura in mezzo al deserto, fu incredibile. Purtroppo non ho mai potuto parteciparvi, ma quelle immagini mi sono rimaste dentro e, appena ho potuto, sono partito per l’Africa, da turista, per andare a vedere quei luoghi in prima persona. E da allora non mi sono più fermato: ad oggi sono più di 60 le spedizioni totali, in moto, macchina, in tutti i Paesi del Maghreb. E non intendo fermarmi”.
Avventuriero, ma con radici romagnole. Tanto da fondare una sua squadra, proprio a Verucchio.
“Fu un’idea quasi immediata. Fin dai primi Campionati Italiani Motorally, assieme a mia moglie Miria Amadori (5 volte campionessa italiana e vincitrice del Rally dei Faraoni, ndr) decidemmo di fondare il Rally Team Azzurrorosa, nel 1993. Era un piccolo club, trovammo qualche sponsor, e assieme ad altri piloti siamo riusciti, col tempo, a diventare un simbolo riconosciuto in tutta Italia. Ad oggi è un team che gestisce circa 500 iscritti in tutto il Paese, da Bolzano alla Sicilia”.
Un team che non dimentica l’Africa. Cosa sono le “Grandi Avventure Azzurrorosa”?
“Rappresentano una bella tradizione del nostro club. Dai primi anni 2000 abbiamo iniziato ad organizzare la logistica dei viaggi in Africa per alcuni tour operator e, in seguito, abbiamo deciso di continuare a farlo per i nostri soci. Si tratta di organizzare, due o tre volte l’anno, spedizioni più o meno estreme in Africa: Libia, Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco, Mauritania e Senegal. Ogni anno si lancia un tema, e su quel tema si costruisce un’avventura specifica per i soci del club”.
C’è un paradosso. La Romagna è terra di motori, ma di Enduro e Rally estremi si sa poco o nulla. Qual è lo stato dell’arte di questo mondo nel riminese?
“È certamente un mondo, lo è sempre stato, di nicchia. Una nicchia che, però, ha avuto anche dei grandi piloti rappresentativi. La gara più conosciuta rimane la Parigi-Dakar, e fra i suoi pionieri ci sono tre riminesi che hanno fatto la storia: Giampaolo Aluigi e Massimo Montebelli, purtroppo scomparsi, e Fabio Marcaccini, che oggi gestisce un’importante azienda internazionale di preparazione di moto da fuoristrada. Sicuramente in Romagna la specialità più blasonata è la velocità, ma in Italia abbiamo un campione di motocross, vincitore di 9 titoli mondiali, Antonio Cairoli, che dai media nazionali viene praticamente ignorato”.
Un campione…
“Sì, va detto che la Romagna produce campioni anche in questo mondo. Rimane una nicchia, ma che vive una grande rivalutazione: sono sempre più numerose, soprattutto in Nord-Italia in zone un tempo proibitissime, le manifestazioni organizzate sotto l’egida della Federazione Motociclistica Italiana che, ogni anno, vedono 300-400 motociclisti muoversi insieme in fuoristrada”.
Tornando al Tuareg Rallye, non solo sport ma anche solidarietà: il suo club è uno dei sostenitori della Onlus riminese Rimetti in Moto l’Africa. Di che si tratta?
“La Onlus è stata fondata da due fratelli, Maurizio e Stefano Trovanelli, che tanti anni fa hanno fatto un viaggio in Africa col padre e un amico e che, tempo dopo, hanno voluto rivedere quelle terre unendosi al club Azzurrorosa. Purtroppo, un anno dopo il viaggio col padre, Maurizio diventa portatore di protesi alla gamba, a seguito di un incidente. La sua condizione personale, unita all’amore per l’Africa, ha fatto scattare l’idea di fondare Rimetti in Moto l’Africa, collegata alla onlus Bimbingamba di Alex Zanardi, al fine di aiutare tutti quei bambini africani che hanno bisogno di essere protesizzati. Al momento la Onlus sta seguendo quattro ragazzi provenienti dal Senegal. E il nostro club è orgoglioso di sostenere questa realtà: grazie ai nostri viaggi è possibile trovare finanziatori, che ci permettono di organizzare eventi specifici di sensibilizzazione e raccolta fondi”.
Di cosa si occupa la Onlus, nello specifico?
“Lavora per organizzare la logistica e i trasporti dei ragazzi africani che arrivano qua in Italia, mentre l’associazione Bimbingamba si occupa delle protesi. E, per garantire la propria autonomia, tra i diversi eventi di raccolta fondi c’è anche la partecipazione a eventi sportivi, come ad esempio lo stesso Tuareg Rallye”.
Tornando a lei, quale sarà la prossima avventura?
“Sicuramente parteciperò, con la nostra squadra, al Tuareg Rallye del prossimo anno, che si sposterà dal Marocco all’Algeria: un Paese che ha sofferto tanto negli anni scorsi, che è ancora molto chiuso al turismo, ma che allo stesso tempo ha dei paesaggi e degli spettacoli della natura bellissimi. Nel frattempo, mi sono già iscritto a un’altra manifestazione di natura più turistica, che nasce da organizzatori italiani: la ’Gibraltar Race’, una gara su strada e fuoristrada che parte da Brasov (Romania) e termina a Gibilterra, attraversando tutta l’Europa in 15 giorni. Totale: 7.500 chilometri. Sono appena tornato e l’ultima gara è stata dura, ma di certo non intendo fermarmi”.
Simone Santini