Lavori in corso, si potrebbe dire, e non solo nella Diocesi di Rimini, ma in tutt’Italia, con l’obiettivo di arrivare ad avere in ogni diocesi un referente preparato pronto ad affiancare il vescovo nell’azione di ascolto, formazione e prevenzione, e poi uno sportello aperto a chiunque voglia mettersi in contatto. Non è passato neanche un anno – era giugno dello scorso anno – dall’approvazione delle nuove “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” e il lavoro in questi mesi del Servizio nazionale per la tutela dei minori, non si è mai fermato. Dopo l’inaugurazione del servizio nella Diocesi di Rimini, venerdì 17 gennaio, siamo a fare il “punto” di quanto fino ad oggi realizzato con il presidente del Servizio Cei, l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni (nella foto).
Eccellenza, a che punto è la formazione di quella “rete” nazionale di referenti che vi eravate prefissati?
“Intanto diciamo che tutte le Regioni hanno nominato un vescovo, un coordinatore regionale, hanno cominciato a costituire il Servizio regionale e più della metà delle diocesi hanno già nominato il loro referente diocesano che proprio in questi giorni saranno implementati”.
Come pensate di aiutare qui da Roma la formazione di questa “rete”?
“Al Consiglio permanente che ci sarà la prossima settimana renderemo pubblici i protocolli che il nostro Servizio nazionale ha preparato e che serviranno proprio per la formazione degli operatori pastorali. Tutti, dai preti, ai diaconi, ai catechisti. Tutti gli operatori che ruotano attorno ai nostri ambienti parrocchiali. Questi quattro protocolli contengono anche una serie di buone prassi da mettere in atto in parrocchia che sarà lo strumento operativo più significativo, e anche il più pesante da realizzare. Ma abbiamo degli anni di lavoro davanti a noi. Non è che dobbiamo fare tutto subito. È meglio fare bene le cose passo dopo passo. Credo però sia importante in un primo tempo puntare sulla formazione degli operatori e via via rendere sicuri gli ambienti, arrivare ai ragazzi, ai giovani, alle famiglie. Sono tutti passaggi progressivi e previsti”.
Fino ad arrivare anche all’apertura di uno “sportello” in ogni diocesi…
“Prima della fine di maggio, secondo quello che la Santa Sede ci ha chiesto con l’ultimo documento importante Vos estis lux mundi. C’è un obbligo da parte delle diocesi di rendere accessibile un luogo – anche attraverso un numero di telefono, una mail, un contatto – dove poter iniziare un percorso, fare delle segnalazioni, delle denunce, o anche per chiedere informazioni o iniziare un percorso di prevenzione”.
Chi e in base a cosa è scelto il referente diocesano?
“Non sarà da considerarsi come ’uno specialista’, anche se ho visto che quelli che sono stati nominati hanno delle competenze particolari. Sono psicologi, consulenti familiari, psichiatri, giuristi, avvocati. Il referente diocesano è comunque una figura pastorale e questo servizio di tutela dei minori deve rimanere un servizio pastorale”.
Cosa si intende per “servizio pastorale”?
“Un ufficio come gli altri uffici pastorali che però ha un compito molto ristretto e al tempo stesso molto importante che è quello di far crescere la coscienza e la sensibilità in tutte le realtà pastorali riguardo alla tutela dei minori. Un servizio di educazione e formazione soprattutto”.
Spesso infatti dietro all’aggressione commessa c’è l’inconsapevolezza della gravità dell’atto. Lo abbiamo visto nell’ultimo processo a Bernard Preynat che ai giudici ha detto: “Non mi rendevo conto di quello che facevo”.
“Siamo in un processo e nei processi le dichiarazioni spesso sono più dettate dagli avvocati e non so quanto possano essere prese per vere. Noi abbiamo preparato un documento, che appunto pubblicheremo nei prossimi giorni, anche per identificare meglio la figura dell’abusatore, le dinamiche che portano l’abuso, i luoghi dove avvengono e individuare quello che succede nelle vittime degli abusi perché, se da una parte sopravvivono, dall’altra si portano dietro ferite che rimangono indelebili”.
La gente guarda la Chiesa ed ha l’impressione che su questa piaga non si faccia nulla. Lei come risponde?
“Credo però che questo sia anche il dovere vostro, di giornalisti, diffondere la notizia che invece noi stiamo lavorando e che sta nascendo una rete nuova in Italia. A queste giornate di lavoro, per esempio, si lavorerà anche per preparare nel mese di marzo tre incontri, al Nord, al Centro e al Sud d’Italia, con i nuovi referenti diocesani per dare loro un primo impulso, una prima formazione e lanciare il percorso che dovranno fare”.
Cosa vi aspettate dalle diocesi?
“Come è scritto all’inizio delle Linee guida, un cambio di mentalità fondamentale: cioè da ora in poi noi non possiamo più metterci dalla parte dell’istituzione, dell’immagine della Chiesa ma ci dobbiamo mettere dalla parte dei minori. Cambiando prospettiva, anche le nostre attività dovranno mettersi dalla parte sempre dei minori. Questo vuol dire anche – come abbiamo scritto nelle Linee – che ci assumiamo l’obbligo morale di denunciare tutti coloro che commettono questi tipi di reati e collaborare con l’autorità civile”.
Lo sa che la gente è ancora convinta che in Italia per la Chiesa, il vescovo non ha obbligo di denuncia?
“È invece chiarissimo. È scritto chiaramente nelle Linee guida che pur non essendo presente nella legge italiana questo tipo di obbligo, noi ce lo assumiamo come obbligo. In alcuni Stati del mondo c’è l’obbligo per tutti della denuncia. Da noi non c’è ma abbiamo deciso di assumerci lo stesso questo impegno ed abbiamo anche messo per iscritto la procedura da seguire.Non si dovrebbe scappare da questa responsabilità e chi lo fa, viola un impegno grave che i vescovi italiani riuniti in Assemblea hanno accettato. Si tratta di una piccola e grande rivoluzione che i vescovi italiani hanno votato a grandissima maggioranza”.
Cosa si sente da dire agli italiani che vi guardano?
“Se fino adesso noi abbiamo reagito, di fronte agli eventuali reati e peccati gravissimi che venivano commessi, con provvedimenti solo interni ma troppo spesso – come si è purtroppo visto nella storia – poco efficaci, da ora in poi agiremo in modo forte e deciso, collaborando con l’autorità civile. La gente lo deve sapere e aggiungo ancora che il lavoro di prevenzione che metteremo in atto nei prossimi tempi, è un lavoro che andrà a vantaggio di tutti, della comunità cristiana e, speriamo, della società intorno a noi”.
Maria Chiara Biagioni