“La musica si fa insieme”. È una frase che emerge da un’intervista a Fabio Bartolo Rizzo, in arte Marracash, uno dei più famosi rapper italiani. Sulla poltrona dell’intervista è seduto un uomo, sulla quarantina, che si muove, parla lentamente e con consapevolezza. Alle domande sul dibattito pubblico, sul sistema italiano e sulla sua vita si accende, muove velocemente le gambe e erge la sua schiena. È un uomo con tanti graffi e ferite, che in modo tutto suo sente e vede il mondo: solo così riesce a comunicarlo nelle sue canzoni. Come afferma la sua manager Paola, Fabio deve continuare a guardare il mondo nel modo che gli è proprio perché così non smetterà di essere interessante.
E, infatti, Paola non sbaglia: il 19 novembre esce a sorpresa ‘Noi, Loro, Gli Altri’ e in poche settimane diventa uno dei dischi più ascoltati in Italia. E che sta facendo parlare tutto il mondo dei giovani. Fabio si racconta e racconta la società in cui vive in un gioco di autoanalisi che solo un artista può fare. Tiene alla società quanto tiene alla sua persona e questi temi si incrociano continuamente. Afferma in un’intervista che è molto legato al concetto di autorevolezza: la capacità che ognuno ha di affrontare e comunicare la propria battaglia. Afferma che se si sposano tante cause, quello che risulta al pubblico è che l’artista non nutre interesse per nessuna di esse. La battaglia di Marracash è quella di “mettere il cuore in quello che fa”: questa frase ricorda molto quello che un chirurgo di Bologna, Enzo Piccinini, insegnava. Infatti è una frase universale vale in tutti i contesti – nella musica, all’università, nelle relazioni – ed è questa la chiave del successo. Siamo messi al mondo per diventare sempre più noi stessi mettendo il cuore in quello che abbiamo da fare.
Un altro spunto interessante in questo album è la parola che ricorre di più: “forse”, come dice lo stesso rapper. Anche alla fine dell’800 un grande poeta la usava per esprimere quel poco di speranza che aveva nella vita: Forse s’avess’io l’ale/ Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una,/ O come il tuono errar di giogo in giogo,/ Più felice sarei, dolce mia greggia,/Più felice sarei, candida luna. (Giacomo Leopardi, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”). Leopardi utilizza il termine “forse” per accennare a un ultimo barlume di possibilità, quella flebile fiammella che nel buio ti indica la strada. Ai giovani interessa ancora ascoltare della poesia nelle canzoni rap? Interessa ancora chi racconta di fragilità, dubbi, speranza, tristezza? Risponde Eleonora, 18enne di Rimini.
Eleonora, quali sono state le tue prime impressioni quando hai ascoltato questo album?
“Mi ha stupito il fatto che le canzoni sono dure: il modo in cui si presentano non riflette il contenuto duro che si cela. Marracash è molto profondo e ciò che dice di personale in questo album mi ha colpito molto. È come se volesse comunicare dandoti la sensazione di ricevere un pugno nello stomaco. Racconta le cose come se fossero di tutti. Anzi, mi correggo, è di coloro che vogliono capirlo. Infatti, quando ho provato a farlo ascoltare ai miei genitori, pensavano fosse il solito rapper che mette al centro i propri soldi o i propri averi”.
Secondo te la differenza di età causa una differenza nel comprendere ciò che lui vuole esprimere?
“È interessante che così tanta gente lo ascolti perché non è immediato come approccio. Ha un ‘mood’ preciso, un’intenzione specifica ed è di chi lo vuole ascoltare. Le generazioni più grandi non lo vogliono ascoltare perché all’apparenza può sembrare uno spaccone e questo frena, soprattutto chi si ferma solo alla superficie”.
Questo album è stato per te motivo di riflessioni?
“La canzone che mi ha colpito di più è ‘Dubbi’, in particolare quando dice: ‘Uno che fruga nella realtà/ La fuga da una realtà pesante/ Cercando di farci dei soldi durante/ Malgrado poi gli anni balordi e tutti i rischi corsi /Guardando quei problemi grossi che si fanno enormi/ Quelli brutti sono diventati bei ricordi, quelli troppo brutti li ho rimossi’. Può essere una modalità di fuga dalla realtà quando è pesante: ed è vero che quello che ti rimangono sono i dubbi”.
Eleonora, secondo te c’è della speranza in quello che lui descrive?
“Speranza nelle canzoni no, ma c’è la possibilità di dire essenzialmente quello che pensa. Il fatto che quello che dici può arrivare a tutti. Lui ha un tono molto malinconico e ha sempre avuto un gran coraggio nel dire quello che pensava. È fenomenale la possibilità di emergere per quello che sei”.
In conclusione, perché questo album sta facendo così tanto parlare di sé trai giovani? Quello che colpisce di più è la libertà con cui questo rapper guarda se stesso e provoca l’ascoltatore, come in Nemesi, il cui grido finale è: “Sei mai stato libero?”. Le continue domande che ritornano nell’album sono campanelli pronti a risvegliare la sua coscienza e la coscienza collettiva. Solo tramite la domanda di una nuova possibilità si può fare l’esperienza che Leopardi descrive nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Solo attraversando le nostre domande si può vivere e non cadere nell’esperienza di un timore comune che anche Marracash descrive: “Non temo la morte, ma ho paura di non vivere”.
Emilia Protti