Riccardo Muti ha diretto l’Orchestra Giovanile Cherubini nella serata conclusiva della Sagra Musicale Malatestiana al Teatro Galli
RIMINI, 17 dicembre 2022 – Comincia con un pianissimo, quasi un sussurro: un soffio leggero destinato a cedere il passo a quello sgomento che accompagna da sempre il mistero della morte. Si procede, poi, in un’alternanza di sentimenti contrastanti, dove il desiderio di una più intima spiritualità e l’umanissimo scetticismo nei confronti della fede si contrappongono con pari vigore. È questo il carico di emozioni legato alla Messa da Requiem, dedicata da Verdi nel 1874 alla memoria di Alessandro Manzoni, nel primo anniversario dalla morte del grande scrittore.
Il compito di restituire il fascino dello straordinario capolavoro verdiano, scelto per chiudere la settantatreesima Sagra Malatestiana, è stato affidato a Riccardo Muti. E non poteva esserci conclusione migliore, perché il Requiem è fra le opere più congeniali a un direttore che ha intrecciato indissolubilmente il suo percorso con la musica di Verdi: si tratta, per lui, di una partitura proposta in tante occasioni, scandagliata fin nelle pieghe più recondite. E il pubblico riminese ha dimostrato di apprezzare moltissimo la sua lettura, attraverso calorosi applausi. Al termine del concerto, poi, alcuni ragazzi hanno sventolato delle bandiere tricolori, consegnandone una – su cui avevano disegnato a penna le parole Verdi e Manzoni – al Maestro, che l’ha accettata con spirito complice e atteggiamento divertito.
Sul piano visivo l’effetto straniante viene, semmai, dal contrasto tra un organico di giovanissimi e l’energia inesauribile di un direttore che il prossimo luglio compirà ottantadue anni. Infatti, tranne rare eccezioni, non solo gli strumentisti – i bravissimi ragazzi dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini – e i solisti di canto, così come i componenti del coro, sono tutti molto giovani.
Si rimane ammirati dal lavoro di cesello compiuto da Muti: percepibile nella morbidezza degli archi, nello squillo degli ottoni, nella precisione adamantina del fagotto, nel rigore ritmico dei timpani e della grancassa. Minuziosa la cura delle sfumature dinamiche, quando la mano sinistra del Maestro scende sempre più verso il basso, per ottenere quegli effetti di pianissimo che testimoniano lo smarrimento provato da ciascuno di fronte alle domande sul significato ultimo dell’esistenza. Altrettanto coinvolte le masse corali, formate da un’ottantina di elementi, provenienti dall’unione di due insiemi (il Luigi Cherubini e il Cremona Antiqua, con alcuni aggiunti) preparati da Antonio Greco, che hanno affrontato l’impegnativa prova con grande consapevolezza del ruolo cruciale svolto dal loro intervento nel Requiem. Del quartetto vocale facevano parte il ventiquattrenne soprano armeno Juliana Grigoryan, voce senza particolare peso ma interprete accorata; il disomogeneo seppure espressivo mezzosoprano Isabel de Paoli; il tenore albanese Klodjan Kaçani, di vocalità fresca e bel timbro, mentre l’unico veterano e che vanta fra l’altro un lungo sodalizio con Muti era il basso Riccardo Zanellato, dall’emissione non sempre pari alle intenzioni del fraseggiatore.
Muti è riuscito a guidare l’imponente insieme attraverso una lettura scandita da una tensione drammatica potentissima, che regala non pochi brividi nel Dies irae, e allo stesso tempo riesce a creare una struggente e spiritualissima malinconia nell’oasi lirica dell’Agnus Dei. Il sussurro che segue la voce del soprano al termine del Libera me Domine chiude così la pagina su quella che sembra un’estrema e struggente richiesta d’aiuto. Capace di trasmettere tutta la misura della piccolezza dell’uomo.
Giulia Vannoni