Quelle macchioline scure sulla pelle, a cui non si dà peso finché non ci si ammala, sono potenziali nemici perché possono dare origine al melanoma, uno dei tumori maligni più aggressivi che ci sia. I dermatologi lo chiamano Big Killer: pur costituendo appena il 4% dei tumori della pelle, causa il 75% delle morti. Colpisce in Italia circa 13 persone su 100mila abitanti (dati ISTAT) e ne uccide oltre un migliaio all’anno: 12.5 per 100mila abitanti è l’incidenza del melanoma tra i maschi e 13.2 quella tra le femmine.
Considerato fino a poco tempo fa una malattia rara, attualmente la sua incidenza raddoppia ogni 10 anni a un ritmo del 4.7% ogni 12 mesi, tanto da far parlare di “epidemia melanoma”. In compenso, il 90% dei casi sono rappresentati da melanomi cosiddetti “sottili” e hanno prognosi favorevole, segno che la diagnosi precoce sta dando buoni frutti.
Ne abbiamo parlato con il dottor Stefano Catrani, Dirigente dell’Unità Operativa di Dermatologia dell’ospedale Infermi, impegnato quotidianamente con gli 8 dermatologi del suo staff nella battaglia per la diagnosi precoce del melanoma.
Dottore, com’è la situazione a Rimini?
“Negli ultimi 5 anni sono stati circa 90 all’anno i casi di melanoma a Rimini, a fronte di circa 6mila visite diagnostiche per sospette lesioni. Nel nostro territorio l’incidenza è 28-30 casi su 100mila abitanti, nettamente superiore al 12.5 italiano, che comunque è un dato non reale perché non esiste una banca dati dei tumori. Nell’85% il melanoma insorge su pelle sana, nel 15% su un nevo”.
Perché l’incidenza del melanoma aumenta così rapidamente e perché soprattutto a Rimini?
“Innanzitutto si è modificato il rapporto con il sole: cento anni fa non si andava al mare a prendere il sole, anzi l’abbronzatura era indice di bassa estrazione sociale. Oggi, invece, c’è il mito dell’abbronzatura e si confida nel sole come fonte di benessere perché il sole induce rilascio di endorfine. L’incidenza del melanoma, infatti, dipende dalla geografia: nei paesi più esposti al sole è superiore. Ha contribuito anche il buco nell’ozono, per cui i raggi UVB riescono a penetrare l’atmosfera e provocano danno alla pelle”.
In che modo gli UVB danneggiano la cute e provocano il tumore?
“Il meccanismo si chiama «fotocarcinogenesi». I raggi ultravioletti provocano ai melanociti, le cellule responsabili della pigmentazione cutanea, due tipi di danni: il danno al DNA, che può essere diretto (causato dai raggi UVB) e indiretto (attraverso la produzione di radicali liberi, il cosiddetto stress ossidativo, causato da UVA e UVB) e la foto immunodepressione, cioè una depressione del sistema immunitario che difende dall’abbronzatura. Una volta si pensava che fossero implicati solo gli UVB nella carcinogenesi e che gli UVA causassero solo l’invecchiamento cutaneo. Oggi sappiamo che esistono UVA “corti”, con potere cancerogeno anche se in misura minore rispetto agli UVB”.
Le lampade a raggi UVA che ruolo hanno?
“Le lampade sono cancerogene, come ha stabilito recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità: sono sconsigliate soprattutto ai minorenni. Vanno fatte con moderazione e solo da personale esperto, informato sui rischi e sulle normative vigenti e in grado di fare un’anamnesi della persona che tenga conto dell’assunzione di farmaci, della famigliarità per melanoma, della storia personale”.
Che ruolo ha la diagnosi precoce?
“È fondamentale, noi dermatologi facciamo grandi sforzi su questo fronte. Si basa su campagne di prevenzione a diversi livelli. Fondamentale il ruolo del farmacista, che può venire in contatto con il paziente che acquista la crema solare e informarlo sul fototipo della sua pelle e su una corretta esposizione al sole. Il medico di base ha la funzione importante di filtrare i pazienti e indirizzarli a screening selettivi. Infine ci sono i dermatologi, naturalmente, a cui è bene rivolgersi per controlli periodici se il fototipo è chiaro, se si hanno più di 50 nevi o una famigliarità per melanoma, che sono i fattori di rischio principali. È sempre bene autoesaminarsi e rivolgersi allo specialista se compaiono nuovi nevi o si modificano nel tempo”.
Come si cura il melanoma?
“Si procede all’asportazione chirurgica e, a seconda dei casi, alla biopsia del linfonodo sentinella, il più vicino alla lesione, perché il melanoma può dare origine a metastasi per via linfatica ed ematica. Se il referto della biopsia rivela micrometastasi nel linfonodo sentinella, si procede alla dissezione linfonodale. Il percorso è dipartimentale: richiede la collaborazione di dermatologi, chirurgi, radiologi, anatomopatologi ed oncologi. Oggi sono a buon punto le sperimentazioni che riguardano le terapie genetiche: presto avremo farmaci in grado di agire sul genoma (chemioimmunoterapia) e un vaccino”.
Da cosa dipende la prognosi?
“Dal tipo di melanoma e dallo stadio alla diagnosi. Esistono 4 tipi di melanoma: SSM (Superficial Spreading Melanoma) un melanoma a diffusione superficiale, il più frequente ed operabile; il melanoma nodulare che è il più pericoloso, cresce verticalmente ed è spesso fin dall’inizio; il melanoma acrale e melanoma delle mucose che, però, sono forme più rare. Le forme “sottili” hanno prognosi migliore; il melanoma in situ, cioè al primo stadio (confinato solo all’epidermide), consente la guarigione nel 100% dei casi. I melanomi ”spessi” hanno prognosi peggiore, con possibilità di metastasi al cervello, al polmone, al fegato. Le donne hanno in genere una prognosi migliore: sono più abituate ad auto ispezionarsi e a sottoporsi a visite di controllo”.
Quindi l’invito è solo uno: se avete dei dubbi andatevi a fare un controllo. Potrebbe risolvervi tanti problemi.
Romina Balducci