Sarà perché siamo gente di mare. Sarà perché noi adulti di oggi eravamo abituati, fin da piccoli, a stare sotto il sole per ore senza troppe protezioni, con tutte le bruciature che ne conseguivano. Ma sarà anche perché oggi siamo più attenti a farci controllare quei “brutti” nei (o nevi come si dice in gergo) che macchiano la nostra pelle e pure, spesso, la nostra serenità. In provincia di Rimini le diagnosi di melanoma annue sono più del doppio rispetto alla media nazionale. Nel Riminese, nel 2017, sono stati 186 i nuovi casi seguiti dall’U.O. di Dermatologia dell’Ausl Romagna, 123 dei quali con diagnosi di melanoma invasivo, ossia non circostanziato solo all’epidermide, e 63 di tipo insitu come è definito il melanoma che non ha superato la parte più superficiale della pelle, con una guarigione pari al 100%. Sono i melanomi invasivi quelli che più preoccupano, ma questo non vuol dire che ci sia stata in tutti i 123 casi diagnosticati tra i riminesi l’anno scorso una metastasi tumorale ad altri organi, anzi. Come ci spiega il responsabile dell’Unità Operativa Massimo Morri, ciò avviene in rarissimi casi.
Il melanoma tra i riminesi è più diffuso che altrove, con 37 nuovi casi invasivi all’anno ogni 100mila abitanti, rispetto ad una media nazionale pari a 15. Perché?
“Una parte della spiegazione è attribuita al fatto che siamo un territorio di mare, con molta esposizione ai raggi ultravioletti e molta frequentazione delle spiagge fin da piccoli. In ogni caso incide sul rischio di melanoma in età adulta più l’aver avuto ustioni solari in età infantile – dunque una esposizione intensa ed intermittente – rispetto all’assorbimento cumulativo dei raggi ultravioletti. Un tempo non si avevano tutte le attenzioni che possiamo avere noi oggi con i nostri bambini”.
E il fototipo?
“Può contribuire ad aumentare il rischio, anche se nelle nostre zone non è particolarmente chiaro”.
Accanto ai fattori ambientali incide anche la genetica?
“Sì, tant’è che a volte i melanomi si sviluppano anche in punti che rimangono costantemente coperti dal sole. Ci sono poi anche cause legate alla familiarità: l’aver avuto una diagnosi di melanoma tra familiari di primo grado aumenta di circa il doppio il rischio”.
Chi ha tanti nei deve temere di più?
“È più a rischio e per questo deve essere più attento alla prevenzione e farsi controllare una volta l’anno. Una frequenza di questo tipo è sufficiente per diagnosticare un eventuale melanoma in uno stato ancora di curabilità. Voglio però anche smentire un luogo comune: il 70-80% dei melanomi si sviluppano su cute sana, senza alcuna lesione pigmentata, e i casi di melanomi associati ad un neo già esistente rappresentano quindi una minoranza. Dunque, bisogna proteggere tutta la pelle, non mettere i solari solo sui nei, per intenderci, né tantomeno togliere tutti i nei per eliminare il rischio”.
Dottor Morri, il trend è in aumento?
“C’è stato, in generale, un aumento del 100% negli ultimi quarant’anni, in parte legato anche alla maggiore sensibilità dei cittadini a farsi controllare e al miglioramento delle tecniche di diagnosi. Negli ultimi tre-quattro anni comunque questa tendenza sembra essersi fermata grazie anche alle politiche di prevenzione”.
Ci sono differenze tra uomini e donne?
Attualmente si ha una incidenza maggiore tra gli uomini, ma parliamo di differenze minime. È comunque vero che in Emilia Romagna il melanoma è negli uomini la seconda neoplasia più diffusa sotto i 50 anni, mentre tra le donne è la terza”.
Ci sono fasce di età più esposte?
“Il melanoma è un tumore abbastanza frequente tra i giovani, che può colpire già dai 20 anni. I bambini ne sono virtualmente immuni fino alla pubertà. Tranne rarissimi casi di nei congeniti, presenti dalla nascita e molto grandi (superiori ai 5 cm.), fino ai 12 anni non esiste melanoma nei bambini. È dalla pubertà in poi che bisogna iniziare a fare visite di prevenzione. Fino ai 20 anni l’incidenza resta comunque rarissima, quasi eccezionale”.
Qual è la percentuale di guarigione?
“Se un paziente consulta Internet si spaventa inutilmente. Si ha la sensazione che il melanoma sia un tumore molto frequentemente mortale quando, invece, molto frequentemente si guarisce. In provincia di Rimini siamo sull’89% di persone in vita a cinque anni dalla diagnosi, più della media nazionale che è pari all’87. La diagnosi è diventata veramente precoce ed è cambiata tantissimo in questi ultimi decenni. Prima, quando veniva fatta ad occhio nudo, si poteva trovare un melanoma solo quando questo era già ad uno stadio molto avanzato. Oggi facciamo diagnosi su melanomi di 2-3 mm. grazie alla dermatoscopia e, in casi molto più selezionati, alla microscopia confocale, laser a bassa potenza che consente di esaminare la pelle quasi come un esame istologico e può aiutare ad evitare le esportazioni che solitamente vengono fatte quando si individua un sospetto”.
La cura come si sta evolvendo?
“In ambito dermatologico la cura è chirurgica. Ci sono parametri che consentono di stabilire la profondità del melanoma. La biopsia del linfonodo sentinella, ad esempio, è una indagine che viene effettuata con questo obiettivo. Finché il melanoma resta localizzato, la sopravvivenza è ottima. Il problema è quando si verificano metastasi. Per questi casi, oggi, l’immunoterapia del melanoma – che consiste nello sviluppare nel paziente anticorpi che inducono il sistema immunitario a combattere il melanoma – sta sostituendo la chemioterapia. Ma è uno stadio di cui non si occupa più la Dermatologia, ma l’Oncologia”.
Per concludere, il sole dobbiamo demonizzarlo o no?
“No, ha i suoi lati positivi ma bisogna stare attenti a non eccedere. I danni del sole non vengono mai azzerati, nemmeno con una protezione 50. Sebbene i filtri solari ci proteggano, ciò non vuol dire che si possa stare sotto il sole per tante, tantissime ore”.
Alessandra Leardini