È il momento di lasciar andare ad altre mani, braccia e gambe questa cosa bella, ricca e tanto amata che ho vissuto”. Emilia Guarnieri dopo 27 anni lascia la presidenza di quella “immensa avventura di libertà” che è il Meeting.
Il passaggio del testimone era nell’aria da tempo, un passaggio annunciato com’è nell’ordine delle cose ma che ugualmente lascia il segno. Da sempre tra i responsabili della manifestazione riminese, l’Emilia (come la chiamano affettuosamente, solo con il nome) è stata presidente ininterrottamente dal 1993. Dopo 27 anni di presidenza e 40 di responsabilità condivisa, con il rinnovo del consiglio di amministrazione della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli previsto mercoledì 11 marzo, Emilia Guarnieri lascerà la guida di una tra le più longeve manifestazioni culturali al mondo.
Lasca la direzione dopo 27 anni. Cos’è oggi il Meeting?
“Una grande storia di libertà. Con il trascorrere degli anni, il Meeting è diventato un luogo aperto dove ciascuno può vivere e testimoniare con libertà la propria identità, la propria storia e può metterla in relazione con quella di altre persone.
Un’immensa avventura di libertà testimoniata anche dagli oltre tremila volontari che ogni anno da quattro decenni animano la kermesse con un grande gesto libero e gratuito”.
Alla nascita del Meeting aveva 32 anni, due bambine piccole e una idea. “Ok, cambiamo l’immagine della vita estiva. Proviamo”. Vi illudevate che si trattasse solo della vita estiva. Invece è diventato la vita.
Quando c’è stato il cambio di passo?
“È stata una crescita progressiva.
C’è un episodio significativo che risale al 1980, al termine della prima edizione, della quale io ho vissuto solo i primi due giorni, colpita da febbre altissima.
Ricordo le telefonate degli amici, impressionati dalla quantità della rassegna stampa (allora totalmente cartacea o al massimo televisiva): percepimmo da subito che la manifestazione ci travalicava.
Non a caso l’anno seguente fu ospite il presidente del parlamento europeo, e nel 1982 papa Giovanni Paolo II. La consegna del pontefice: «Costruite la civiltà della verità e dell’amore, costruite senza stancarvi mai questa civiltà!», fu il culmine della consapevolezza dell’importanza del Meeting.
Altri passaggi chiave di questa coscienza sono stati gli interventi di don Giussani e del presidente Napolitano. Nel 1985 don Gius ci augurò di «non stare mai tranquilli». Quanto «movimento» sollecitava anche a noi ’costruttori’ del Meeting!
In un altro frangente, complesso per noi e per l’Italia, il presidente della Repubblica Napolitano definì il Meeting «risorsa per Paese»”.
Quanto è stata decisiva l’appartenenza a Comunione e Liberazione nel generare il Meeting?
“L’amicizia con don Giussani e l’appartenenza a Cl è stata generativa. Personalmente, ho conosciuto Cl a 15 anni grazie a don Giancarlo Ugolini: l’esperienza vissuta in Cl mi ha aiutato a guardare la mia realtà e quella intorno.
Anche per il primo gruppo di fraternità, nucleo del meeting, è stata fondamentale l’amicizia con don Giussani: ci ha fatto compagnia nei primi anni, senza mai dirci cosa dovevano fare e cosa non avremmo dovuto fare, ma facendoci compagnia.
Il Meeting è proseguito di pari passo alla nostra appartenenza a Cl, ed è stato confermato nel passaggio da Gius a don Carrón, ma ha abbracciato l’esperienza riminese con una paternità che continua a commuoverci”.
Un Meeting poteva nascere al di fuori di Rimini?
“La riminesità è stato un fattore decisivo, e non solo perché il gruppo iniziale era formato da tutti riminesi. L’apertura, l’ospitalità, l’incontro alla realtà per come si presenta, la non rigidezza delle forme, inventarsi risposte adeguate alle domande, sono tutti fattori iscritti nel dna riminese.
Questa capacità di apertura credo che oggi possa far comprendere anche ai riminesi che il Meeting è cambiato. E la sua trasformazione non significa venir meno alla riminesità ma andare incontro ad una realtà che si modifica”.
I titoli rutilanti iniziano nel 1983. A volte sembrano incrociare le armi con quelli del film di Lina Wertmuller, per lunghezza e complessità. Come e dove nascono? E qual è il suo preferito?
“La prima, geniale e creativa dozzina di titoli è da attribuire a Sante Bagnoli di Jaca Book primo grande partner del Meeting.
La seconda stagione è stato frutto della genialità di Marco Bona Castellotti.
Per la terza stagione, ho scelto di raccogliere le proposte che arrivavano: quella che giudicavo più pertinente la proponevo alla direzione. E mi sono state accettate tutte!
Il mio titolo preferito? Il primo, la grande bandiera sventolata quando siamo partiti: «La pace e i diritti dell’uomo». Era l’epoca del Muro di Berlino, delle dittature in Sud America e in Africa, dei dissidenti, della opprimente Cortina di Ferro: la pace racchiudeva in sé tutto il bene che si poteva immaginare per l’uomo,
Sul podio metterei anche «O protagonisti o nessuno» (2008): affermava che nella storia bisogna giocarsi la partita della vita
Tanti dei titoli di questi quattro decenni mi sono piaciuti e tutti li ho amati, proprio come gli studenti nei tanti anni di insegnamento a scuola, quelli che mi piacevano e quelli che all’inizio mi piacevano meno”.
29 agosto 1982, papa san Giovanni Paolo II a Rimini. Un miracolo?
“Una visita inaspettata. Un anno dopo l’attentato, la Polonia ancora dilaniata. La Segreteria di Stato telefona all’allora Vescovo di Rimini mons. Locatelli, impegnato negli esercizi spirituali con i sacerdoti della diocesi. Mons. Locatelli mi chiama e io sono stupita. Per accogliere il papa, abbiamo allungato di un giorno la manifestazione. Quella visita è stata storica: ci ha segnato ed aiutato a capire cosa stavano costruendo”.
Al Meeting sono venuti tutti: capi di stato, capitano di industria, politici, registi, attori, uomini di spettacolo. Quali personaggi hanno lasciato un segno indelebile?
“Di Giovanni Paolo II ho appena detto.
Per il resto, racchiudo tanti personaggi in due grandi filoni che mi sono particolarmente cari: quello dell’arte e della cultura e quello delle religioni.
Del primo fa parte l’amato Eugene Ionesco, un colosso della cultura del Novecento. Non voleva venire a Rimini, dopo aver incontrato il Meeting ha voluto regalarci il manoscritto del Maximilien Kolbe messo in scena l’anno successivo.
Ma vorrei citare anche il tenore José Carreras, e l’operazione con il coro Millennium; la danzatrice e coreografa statunitense Martha Graham, Giorgio Gaber, il coro dell’Armata Rossa, i registi Tarkovskij e Zanussi.
Quel fiume di uomini di altre religioni e confessioni, rappresenta l’altro filone che ho amato. Chi aveva allora la percezione dell’esistenza di mondo musulmano, buddista, ebraico, protestante, degli ortodossi?
La prima apertura fu con i Bonzi del Giappone, seguita dal Dalai Lama, dal rabbino David Rosen.
Non è solo dialogo interreligioso: è la testimonianza della rispondenza del cuore e la consonanza del desiderio, riverbero reciproco – grande e commovente – del rapporto con il Mistero”.
C’è, invece, un personaggio che avrebbe tanto voluto a Rimini e non è riuscito a portare?
“Aleksandr Solzcenicyn. Non si sono mai verificate le condizioni”.
Il Meeting ha cercato sempre con insistenza un dialogo con le istituzioni. Perché questa necessità di rapporto?
“A noi interessa approfondire il rapporto con chi garantisce la democrazia e la rappresentatività nel territorio e nel Paese.
A Rimini si è modulato in forme, modi e storie diversi.
Non avremmo potuto far volare neppure la prima colomba se nel 1980 il sindaco comunista Zeno Zaffagnini non avesse avuto l’intuizione che il Meeting poteva essere una cosa buona per Rimini.
Ogni sindaco ha dato al Meeting un contributo differente. Per esempio Chicchi ha consentito la grande mostra del Trecento Riminese, Ravaioli mi ha attribuito il Sigismondo d’Oro, Gnassi ha scritto tante cose all’interno di un’amicizia e una stima reciproche.
Con le istituzioni si è trovata un’intesa di vedute e una cordialità di cui posso solo essere grata.
Ad un certo punto è scattato lo stesso feeling anche con le realtà economiche e commerciali del territorio. E con l’Ente Fiera il rapporto è stato da sempre ottimo e positivo”.
Le ”frizioni” nella Chiesa italiana e tra i vari movimenti si sono respirate anche in alcune edizioni del Meeting. Anche con associazioni e movimenti ecclesiali i rapporti sono notevolmente mutati nel tempo, oggi improntati non solo al rispetto ma all’amicizia, alla fraternità, alla comunione. Cos’è accaduto?
“Nel 2004 la presidente dell’Azione Cattolica è invitata al Meeting: la accompagnava l’allora assistente ecclesiastico mons. Francesco Lambiasi: in Auditorium è avvenuto un saluto carico di stupore reciproco, affetto, cordialità e desiderio di condivisione, di superare anche le precedenti frizioni.
Perché è successo? Ha vinto l’appartenenza alla Chiesa, il riconoscere della bontà dell’esperienza umana e cristiana che c’era e c’è nelle altre persone degli altri movimenti e associazioni. Come amo il mio carisma non possono non amare il carisma degli altri, non solo in modo rispettoso ma appassionato”.
Testimonianze, testimoni, mostre, spettacoli, volontari. Tutto questo mondo, sui media è stato spesso raccontato con una riduzione semplicistica, parlando solo del politico passato e di ciò che aveva detto o della polemica scaturita. Queste “letture” del Meeting l’hanno infastidita?
“I giornalisti accreditati sono per la maggior parte cronisti della politica, dunque raccontano ciò che maggiormente interessa loro. Ma ci sono anche cronisti più attenti e curiosi che scandagliano gli aspetti culturali e le testimonianze umane espresse e manifestate nella manifestazione.
Nei decenni si sono verificate letture politiche dure, anche faziose, ma in questi ultimi anni la realtà del Meeting sta vincendo”.
Il bilancio negli ultimi anni si è assottigliato, “smagrito” di diversi milioni. Ma resta la più grande kermesse del genere del mondo. Che Meeting lascia, anche dal punto di vista economico?
“Con i conti in ordine. Per questo devo ringraziare chi ha curato l’amministrazione in questi quattro decenni. Approveremo il terzo bilancio d’esercizio nei prossimi giorni con il bilancio in pareggio, e una strada aperta a partnership importanti. Siamo in un momento difficile, però lasciamo una situazione a posto e rapporti positivamente avviati”.
Da sempre tra i responsabili, per tre decenni ha guidato il Meeting, prendendo il testimone da suo marito Antonio. E adesso, chi le succederà?
“Il Meeting non è mai stata un’impresa familiare! (ride, ndr)
Entrambi facevamo parte del nucleo originale, Antonio con responsabilità istituzionali, io ad occuparmi del programma culturale. In seguito, sono subentrata anche nell’aspetto seguito da mio marito.
Mercoledì prossimo l’assemblea dei soci eleggerà i nuovi cinque amministratori, e tra loro il nuovo presidente della Fondazione Meeting”.
Il 2020 sarà per lei un anno zero. Come vivrà questa edizione
“Vedrò sicuramente una mostra in più rispetto agli altri anni. Incontri, testimonianze, personaggi: sono curiosa e desiderosa di vivere questa edizione. Da volontaria, come in fondo sono sempre stata”.