Ambientata negli anni del fascismo Pia de’ Tolomei, l’opera di Donizetti dedicata al personaggio immortalato nel Purgatorio
PISA, 14 ottobre 2017 – Donizetti non finisce mai di stupire. Anche in quelle opere a torto ritenute minori – è il caso di Pia de’ Tolomei – si rimane piacevolmente sorpresi da soluzioni inedite, come il duetto tripartito fra tenore e baritono del primo atto, di sorprendente modernità. Ed è probabile che ne fossero consapevoli anche gli altri colleghi compositori, tanto che l’invettiva iniziale del tenore contro la protagonista, O Pia mendace, ritornerà esattamente sulle stesse note nella Traviata, in Amami Alfredo.
Questa tragedia lirica su libretto di Salvatore Cammarano, che subisce la fascinazione dantesca (di Pia de’ Tolomei si parla nel V canto del Purgatorio) esercitata nel periodo romantico, è frutto di compromessi per assecondare le esigenze di un pubblico che, nel 1837, era ancora legato al cliché rossiniano: vi si adeguano soprattutto l’introduzione di una seconda donna come personaggio en travesti e l’articolazione musicale dell’intero primo atto, quello ambientato a Siena, mentre il secondo – che si svolge in Maremma, dove la protagonista, ritenuta ingiustamente fedifraga, viene mandata a morire dal marito – appare già proiettato verso un futuro in cui si leggono molteplici fermenti (e altrettanti struggimenti) romantici.
La scelta del Teatro Verdi di Pisa d’inaugurare la stagione operistica con un titolo così raro – seppure di ambientazione toscana – è stata davvero lungimirante, anche perché poteva contare su un cast in grado di far fronte all’impegnativo compito. Nel ruolo di protagonista il soprano Francesca Tiburzi ha sfoggiato buoni mezzi, anche se non sempre gestiti nel modo migliore – ma dava l’impressione di non essere in perfette condizioni fisiche – per inopinati cedimenti vocali, cui ha supplito forzando in modo innaturale. Ne ha risentito un po’ la messa a fuoco del personaggio, che s’immagina quello di una donna sostanzialmente remissiva e perdente: anche se s’intuiscono buone potenzialità e altrettanto valide intenzioni interpretative. Il baritono lettone Valdis Jansons, il marito di parte ghibellina, ha interpretato con sicurezza un convincente personaggio, forse più algido che cupo – possiede un timbro chiaro – ma comunque inflessibile e macerato; mentre nella parte en travesti del giovane fratello di Pia (appartenente alla fazione guelfa) e supposto amante della protagonista, Marina Comparato ha affrontato una scrittura contraltile con spavalderia e sempre buona timbratura vocale.
Resta la singolarità (ma si tratta di un lascito del Rossini serio) di un tenore malvagio e antagonista: è Ghino, vanamente innamorato di Pia e che pertanto getterà il discredito su di lei, causandone la rovina. Giulio Pelligra ha dominato il ruolo sia sul piano vocalistico sia su quello interpretativo: plasmando un personaggio ora aggressivo e passionale, ora preda dei rimorsi. Fra i comprimari da ricordare il mezzosoprano Silvia Regazzo, nei panni della damigella di Pia, oltre ai due bassi: Claudio Mannino, interprete del fido Lamberto, e Andrea Comelli, l’eremita, cui Donizetti affida una preghiera con coro di enorme suggestione. Peccato che Christopher Franklin, sul podio dell’Orchestra della Toscana, abbia evidenziato qualche estraneità al respiro e al fraseggio donizettiani, limitandosi a un certo rigore ritmico e a una generica estroversione fonica. Apprezzabili gli interventi del Coro Ars Lyrica (diretto da Marco Bargagna), soprattutto per quanto riguarda la componente femminile.
Lo spettacolo concepito da Andrea Cigni sposta l’ambientazione dal tredicesimo secolo agli anni trenta-quaranta del novecento, trasferendo la lotta fra guelfi e ghibellini, che del resto rimane abbastanza in filigrana nel libretto, a quella tra fascisti e antifascisti, ma si limita solo a qualche riferimento all’architettura dell’epoca (leggibile nelle scene di Dario Gessati) e agli abiti, di Tommaso Lagattolla, dove viene enfatizzato per le donne – soprattutto nei copricapo – un richiamo all’Inghilterra delle mecenati dell’arte italiana. La protagonista diventa così una sorta di albionica vestale impegnata nella salvaguardia dei nostri tesori pittorici, ma la dedizione con cui si applica a questo compito è destinata alla sconfitta – i fascisti non ne comprendono il significato, distruggendo le tele custodite – e diventa così lo specchio dell’annientamento cui Pia andrà incontro.
Giulia Vannoni