Mette paura solo a guardarlo: è Martignòn! Ma un libro rimette tutto in discussione. E apre nuovi scenari su uno dei personaggi più noti – e più inquietanti! – di tutta l’alta Valmarecchia. Fu vero cattivo, e il suo un mito “nero”, una delle figure tristemente più note della Valle? Il volume fresco di stampa L’odore dello zolfo è scritto dall’appassionato di storia (nonché uomo di punta della Pro Loco di Sant’Agata Feltria) Marco Davide Cangini. L’autore non è nuovo alle ricerche storiche e accurate, che confluiscono poi in romanzi storici, come Turno Branciforte e il fortunato Mercatino-Rimini andata e ritorno.
Un personaggio… controverso
La povera moglie di Martignòn (al secolo Martino Manzi di Perticara) era ancora incinta e tremava di paura. Temeva che, ancora una volta, in base al vecchio proverbio: “Pencia guzza lan porta cuffia”, avrebbe partorito una femmina. Lo stesso terribile sospetto tormentava anche il truce Martignòn che, con occhio clinico, controllava minacciosamente l’evolversi della situazione finché, un certo giorno, sbottò: “Se mi fai ancora una femmina… me la mangio!”. La povera donna, terrorizzata, non ebbe il coraggio di proferire parola ma, uscito il marito, corse dal prete per chiedere il suo intervento, perché sapeva che la minaccia non era da prendere alla leggera. Il povero sacerdote, al quale Martignòn aveva più e più volte promesso un bel carico di legnate, cercò, con le migliori maniere, di calmarlo e farlo rinunziare al suo insano proposito. Solo soprattutto all’intervento ripetuto di altri suoi amici di bagordi, Martignòn promise che non l’avrebbe mangiata, ma che, comunque, la moglie non le avrebbe dovuto dare il latte. Così successe e la neonata, senza che nessuno potesse intervenire, morì quasi subito. Quest’episodio dimostra come Martignòn fosse un mostro? No, perché è completamente falso! come tanti altri aneddoti inventati a carico di quest’uomo il cui nome è stato sussurrato per anni con timore e a bassa voce.
La storia
Martino Manzi detto Martignòn, era nato a Perticara il 15 febbraio 1836. Martino “fu sempre inquieto e turbolento”. A vent’anni si sposa ma non mette la testa a posto.
Capo sorvegliante delle miniere sulfuree di Perticara, sergente furiere della Guardia Nazionale, nel 1859 partì volontario per la Seconda Guerra d’Indipendenza, insieme a molti altri patrioti di Perticara, repubblicani come lui. Era uomo di fiducia del direttore delle due Miniere, Pietro Pirazzoli. Per oltre vent’anni tenne una vasta zona dell’alta Valmarecchia sotto pressione con la minaccia di rappresaglie sotto il tiro della sua doppietta o quella dei suoi banditi. Di lui se ne raccontano tante che è perfino difficile elencarle tutte. “Al suo tempo – si legge nelle memorie di don Bertozzi – impera il partito repubblicano, e Martignone aveva costituito un gruppo di uomini d’intendimenti repubblicani, pronto a tutto. Anche i fratelli Giovanni e Davide facevano parte di questo gruppo, che, guidato da Martignone, dovunque passava, portava il terrore”.
Il terrore e la fine
Il 15 settembre 1872, Martignone partecipò ad una festa a San Donato, nel comune di Sant’Agata Feltria, insieme ai fratelli Davide e Giovanni. Quest’ultimo, nella piazza del paese, fu perquisito dai carabinieri e, trovato in possesso di un coltello, arrestato. Martignòn, presente al fatto, cercò di calmare il fratello. Secondo alcuni gli avrebbe detto: “Va, va pure, che anch’io vengo con te”. Ma già meditava la vendetta.
Dopo l’arresto di Giovanni, Davide, probabilmente per ordine di Martignone, andò in cerca di compagni e di armi per liberare l’arrestato. Nella notte si tese alle forze dell’ordine una feroce imboscata. Nel conflitto caddero uccisi tre carabinieri di S. Agata. Tra questi, gravemente ferito, Giovanni Manzi, che invano era stato utilizzato come scudo dal carabiniere che l’aveva in custodia. Nel frattempo, Martignone divenne uccello da rapina, protetto dalla sua banda e coperto dall’omertà della popolazione che lo temeva. Fu presto sconfessato anche dai Repubblicani che affissero nel Montefeltro manifesti ove dichiaravano di disdegnare “la vendetta che si cela nell’ombra” e di tenere “vile colui che ferisce alla schiena”. Sul capobanda si pose una taglia di mille lire e, altre inferiori, sugli altri. Fu ucciso dai suoi stessi compagni la sera del 19 novembre 1872 in un castagneto che da Piedimonte conduce a Tornano.
L’odore dello zolfo mette al centro la tragica vicenda del violento assassinio dei tre Reali Carabinieri da parte di Martignòn e della sua banda. Ma fu solo una questione di Martignòn e della sua banda? O fu una rivolta di un popolo esasperato? O esasperati erano soprattutto i minatori che tutti i giorni rischiavano la vita e la perdevano nel buio della “Buga”? Il volume di Cangini è frutto di un accurato lavoro di ricerca negli archivi (che aiuta a meglio comprendere e interpretare fatti e personaggi) ma anche di una messa in discussione di stantii, torbidi e fuorvianti luoghi comuni. L’odore dello zolfo (15 euro, che è possibile prenotare al link
https://oasistore.com/it/unnuovo- progetto-oasistorecompubblica- il-suo-primo-libro) inaugura la produzione della casa editrice santagatese Oasistore.