Se a Hollywood conoscessero la sua storia, c’è da giurarci, l’avrebbero già trasformata in un film di grande successo. Perché la vita di Mario Mazzotti è stata (ed è) veramente ricca di fatti, avvenimenti, coincidenze. Dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, al collegio a Gatteo, passando dalla boxe, alla sua meravigliosa famiglia per finire al triathlon che alla veneranda età di 70 anni lo ha visto nuotare, andare in bici e correre per dieci ore di fila.
Allora, Mazzotti, da dove vogliamo iniziare?
“Da quell’8 dicembre del 1938 quando mio padre Carlo e mia mamma Giuseppina, con l’aiuto del buon Dio, mi hanno fatto il regalo più grande che esista: la vita. Da quei giorni spensierati a San Martino Monte l’Abate dove io, gli altri miei 8 fratelli, i miei genitori e i nonni materni e paterni, vivevamo insieme. Ero piccolo, piccolo ma mi ricordo la gioia e soprattutto i sacrifici che i grandi facevano per darci l’opportunità tutti i giorni di mettere qualcosa sotto i denti”.
Una spensieratezza durata troppo poco.
“Proprio così, la Seconda guerra mondiale è arrivata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno. Come tanti riminesi fummo costretti a trovar rifugio nelle gallerie del trenino di San Marino. Sono stati mesi difficilissimi, ricordo ancora i morsi della fame, ma anche il grande senso di fratellanza che c’era tra tutti noi: ognuno si preoccupava dell’altro, soprattutto le donne facevano a turno per badare noi più piccoli mentre gli uomini andavano a cercare cibo e soprattutto a constatare i danni dei bombardamenti”.
Poi la guerra finì e lei tornò a Rimini.
“Ci trasferimmo in via Tripoli, proprio vicino il comando canadese. Una mattina ero in strada che giocavo quando arrivò il comandante e mi prese in braccio, da quel momento diventai la loro mascotte. Mi fecero fare una divisa piccina, adatta alle mie misure, con tanto di basco nero in testa. Mi prendevano la mattina e mi portavano con loro: sulla jeep, a volte anche in elicottero”.
I suoi genitori non avevano paura?
“Come no! Però essere la mascotte dei canadesi voleva dire portare a casa anche liquori, alimenti, sigarette, cioccolata che a quei tempi erano oro colato. E poi io mi divertivo”.
Finché i canadesi se ne andarono e lei finì in collegio.
“Cinque anni, dai 7 ai 12, durissimi. I miei non potevano mantenerci tutti e così decisero di mandarmi a Gatteo in questo collegio. Ci insegnavano di tutto, addirittura il sabato avevamo un’ora di galateo, ci insegnavano a non parlare a bocca piena, a come ci si doveva sedere a pranzo, a non mettere i gomiti sulla tavola, ma soprattutto ci facevano studiare sodo. Mica come adesso, stavo ore e ore sui libri e devo dire che mi piaceva anche”.
Peccato che arrivato in terza media sia successo qualcosa.
“È successo che mio padre mi chiamò e mi disse che le 5mila lire occorrenti per l’iscrizione servivano per mangiare. Così iniziai a lavorare. Il mio primo impiego fu il fornaio, portavo a casa diversi soldini e un chilo di pane tutti i giorni che a quel tempo era un lusso. Poi feci anche l’idraulico fino a 19 anni quando venni chiamato a fare il militare”.
Nel frattempo iniziò anche la sua attività sportiva.
“A 16 anni mi sentivo l’argento vivo addosso, avevo voglia di scaricare la mia rabbia e così andai alla Libertas dove incontrai il mitico Angelo Angelini che per me è stata una figura fondamentale. Dopo poco tempo mi fecero fare subito un incontro e lo vinsi, poi me ne organizzarono un altro con un certo Calligola della Sempre Avanti Bologna, uno che fino a quel momento aveva vinto 19 incontri, di cui 18 per ko. Combattemmo al teatro Novelli, ad un certo punto mi mise all’angolo e iniziò a darmene talmente tante che non capivo nulla finché dal suo angolo non ho sentito qualcuno urlare adesso buttalo giù. A quel punto non so cosa mi è preso, so solo che mi sono tirato indietro e ho preso la rincorsa giocando con le corde, poi mi sono lasciato andare e l’ho colpito in pieno mento con un gancio mandandolo ko. Subito dopo mi organizzarono un altro incontro che riuscii a vincere ma appena finito andai in palestra e abbandonai tutto perché capii che mi stavano mandando allo sbaraglio. Decisi così di trasferirmi all’Edera Forlì dove salii sul ring altre 21 volte, con 20 vittorie e un pareggio. Poi arrivò il servizio militare e tutto finì”.
Anche per colpa sua, però.
“Sì, possiamo dire così. Tornai dalla leva con un unico pensiero, comprare un’Alfa Speeder. Andai a lavorare in Svizzera abbandonando di fatto il ring, poi, una volta rientrato a casa, iniziai a imbarcarmi prima sui mercantili poi sulle , quindi il tempo per allenarmi non c’era più, anche se nella mia cabina avevo sempre la corda. La cosa più importante è che alla fine la macchina riuscii a comprarla”.
Arriviamo così all’incontro che le ha cambiato la vita, quello con sua moglie Bruna.
“Un colpo di fortuna di cui non finirò mai di ringraziare un mio amico. Eravamo seduti intorno a un tavolino del bar, si parlava del più e del meno finché non mi chiese cosa avrei fatto la sera. Mi disse che doveva andare a ballare, solo che aveva due donne di cui una non era accompagnata. Gli risposi che per me andava bene, che se aveva bisogno non c’erano problemi e alla sera uscimmo tutti e quattro. Da quella sera sono trascorsi 47 anni e siamo ancora insieme e quest’anno festeggiamo i 42 anni di matrimonio”.
Da cui sono nati tre figli.
“Tatiana, Arianna e Carlo che ci hanno regalato anche tre splendidi nipotini: Sergio, Giovanni e Benedetta”.
A proposito, il matrimonio e l’arrivo di Arianna l’hanno convinta a tornare con i piedi per terra.
“Sì, sì (ride), non sopportavo la lontananza, mia moglie e mia figlia mi mancavano troppo e così decisi di non imbarcarmi più. Trovai lavoro presso la Società dell’Acqua, mi occupavo di fare gli impianti, un lavoro massacrante, badile e piccone tutto il giorno, mica come adesso. Ricordo che tornavo a casa con le braccia distrutte tanto che mia moglie doveva imboccarmi. Non era più una vita normale, così una sera dissi alla Bruna: «Ascolta, voglio tornare a scuola e prendermi un diploma».
Altra sfida, altra vittoria.
“Ho fatto le tre medie in due anni andando a scuola alle Acli, poi sono andato alla Guido D’Arezzo dove ho fatto tutte e cinque le superiori diplomandomi geometra. Mi iscrissi anche a Geologia, all’università di Urbino, ma c’erano due laboratori che volevano la frequentazione obbligatoria, inoltre ero fuori corso e perciò unendo le due cose, ho deciso di rinunciare a questo sogno che però conservo ancora nel cassetto e non è detto che non provi a ritirarlo fuori. Anche perché mi piace conoscere le cose, dare risposte a domande che mi pongo in continuazione. Di questo devo dire un grosso grazie a quegli anni di collegio dove mi hanno veramente dato delle basi culturali solide e mi hanno insegnato a ragionare su ogni minima cosa”.
Arriviamo al secondo incontro che le ha cambiato la vita: quello con il triathlon.
“Anche in questo caso è stato un amico a invitarmi. Sapeva che nuotavo e così mi ha chiesto se volevo provare questa nuova disciplina. Ho iniziato per gioco ma subito mi sono appassionato. All’inizio è stato faticoso perché ho dovuto imparare ad andare in bicicletta e anche a correre, ma ho dovuto rivedere anche il mio modo di nuotare. Comunque sta di fatto che alla prima vera gara sono arrivato terzo nella mia categoria, over 56. C’erano da fare 1.5 km di nuoto, 40 km in bici e 10 a piedi”.
Da quel giorno è stato un susseguirsi di vittorie e di imprese visto che nella sua bacheca trovano posto sette titoli italiani di cui 2 su distanza olimpica (1.5/40/10) e ben 5 su distanza lunga (4/120/30).
“Mi piace anche ricordare l’argento e i due bronzi mondiali e gli ironmen che si disputano su distanze importanti: 3.8 km di nuoto, 180 in bici e una maratona vera e propria (42.195) che alla mia età non sono poi così male”.
Ma in tutto quel tempo tra nuotare, pedalare e correre, a cosa pensa?
“Prego. Dico il rosario e soprattutto dialogo con il buon Dio e lo ringrazio per tutto quello che mi ha regalato: da quel giorno dell’Immacolata di quasi 71 anni fa ad oggi, lo ringrazio per la mia vita, per avermi fatto conoscere Bruna, per i miei figli, per i miei nipoti e per darmi la gioia, ogni giorno, di fare sport”.
Sarebbe un bello spot per tanti ragazzini che invece si rincretiniscono giocando a casa con la play station.
“Questo non lo so, però posso dire, da autodidatta completo, che se uno fa sport, lo fa senza esagerare, con costanza, e se ha una vita sana, un’alimentazione senza troppi eccessi, vive meglio la sua vita”.
Parola di Mauro Mazzotti, uno che due domeniche fa, a 70 anni suonati, si è laureato campione italiano coprendo 4 km di nuoto in 1h27’14”, 120 di bici in 4h31’28” e 30 di corsa in 4’03’32” per un totale di 10h02’14”.
Francesco Barone