Sulle pareti bianche dell’appartamento di Marina centro è appesa tutta la sua vita. Immortalata in decine e decine di scatti. Lui bimbo al mare nelle acque triestine (nella foto più a destra); in collegio a Milano; con la divisa della Marina; lui prigioniero di guerra nelle paludi de La Camargue; lui con la sua adorata Luisa; lui con mille medaglie al collo (nella foto) e decine di coppe sparse tra soggiorno, cucina, camera da letto e perfino nel bagno. Quando Mario De Giampietro inizia a parlare della sua vita è come ascoltare un libro di avventure.
“La più bella – dice – la sto ancora scrivendo e spero di continuare a farlo per altri anni. Poi, un giorno, il Signore mi chiamerà (ride)”.
Una vita che ha sempre avuto un minimo comun divisore: l’acqua. Non a caso, a gennaio, la Federazione Internazionale lo inserirà ancora una volta tra i dieci Master più longevi del mondo. Non a caso è stato premiato come atleta più “anziano” della provincia di Rimini. Perché super Mario non è proprio un ragazzino di primo pelo, la carta d’identità dice 14 aprile 1923.
“Non contà l’età, conta lo spirito e io ho ancora voglia di nuotare e di mettermi alla prova. Del resto l’acqua è la mia vita. Mi ricordo ancora il primo tuffo, eravamo a San Nicolò, a Trieste. Mia mamma era in acqua, mi disse «ninin, salta», io l’ascoltai e lei mi prese e mi fece innamorare di questo straordinario elemento. Oggi, quattro volte alla settimana, vado in piscina e mi sciroppo 40 vasche facendo più o meno un chilometro”.
Atleta di punta dei Master della Polisportiva Riccione, De Giampietro ha vinto tutto quello che c’era da vincere: in acqua e nella vita.
“Ho perso mia mamma quando avevo 9 anni a causa di un’otite. Mio padre doveva lavorare e così mi mandò in collegio, a Milano. A 15 anni fui assunto in un’azienda che esportava cotone e coperte in India. Finché nel 1942 venni chiamato dalla Marina”.
Prima La Spezia, poi Tolone.
“Mi mandarono là dopo che la flotta francese si autoaffondò, dovevo recuperare i documenti delle navi. Ma l’8 settembre arrivarono i tedeschi e mi fecero prigioniero. Mi spedirono nella Camargue, una zona paludosa della Francia dove costruivo piazzole antisbarco”.
Finché un giorno non pianificò la fuga.
“Se qualcuno stava male lo mandavano a curarsi in una città vicina, si chiamava Nîmes. Allora io mi tolsi un’otturazione d’oro e dissi che dovevo andare dal dentista. I tedeschi mi rilasciarono un foglio con il timbro tondo con l’Aquila, una specie di lasciapassare universale. Io presi una gomma, un po’ d’inchiostro e falsificai il documento scrivendo che dovevo andare a Bordeaux perché avevo saputo che c’era un comandante che preparava i sommergibilisti e li mandava in Italia. Quando sul treno arrivarono le guardie tedesche, feci in tempo a rompere la luce e così non si accorsero che il documento era stato falsificato. Purtroppo una volta a Bordeaux, mi imprigionarono perché seppero che volevo fuggire”.
Il suo sogno di tornare nel Bel Paese si concretizzò nell’agosto del ’45.
“Quando ero in prigione avevo acquistato una divisa inglese che mi tornò utile un pomeriggio quando gli americani mi videro e mi portarono con loro. Poi, in agosto, incontrai un maggiore polacco che aveva ritrovato il fratello in un campo di prigionia e stava tornando in Italia”.
Dopo cinque anni entrò nella Mobil Oil dove rimase dal 1950 al 1980.
“Ho girato tutto il mondo arrivando a essere il responsabile delle vendite di olio combustibile. Il mio obiettivo era venderne un milione e 700mila tonellate all’anno”.
Proprio nel 1950 la sua vita cambia grazie al matrimonio con la sua adorata Luisa, scomparsa nel 2007 dopo una malattia che l’aveva costretta negli ultimi anni su una sedia a rotelle.
“Con lei ho vissuto una vita meravigliosa, faticosa, ma meravigliosa”.
Si ferma. Guarda una foto. La prende in mano.
“Questi sono i nostri due figli: Davide, che lavora alla Scm, e Daniele. È ingegnere, ha messo in acqua il «Todaro», il primo sommergibile italiano con propulsione a idrogeno ed è stato quello che ha varato la Cavour”.
Il telefono squilla, lui si alza e mostra un’altra foto. Poi torna.
“Visto? Questo sono io a 3 anni, questo sono sempre io ma a 87 anni. Il costume è sempre lo stesso, taglia più grande, ma lo stesso. Più andiamo avanti, più torniamo indietro”.
E giù una risata prima di congedarci “scusate ma mi devo preparare per andare in piscina”.
Francesco Barone