Davvero non ne avevamo bisogno. E neppure il Pirata. “Pantani fu ucciso” ha titolato il maggiore quotidiano sportivo italiano, ripreso poi da tutti i giornali del mondo. Un titolo scioccante, che definisce agli occhi dell’opinione pubblica come fatto accertato quello che per ora è solo un esposto della famiglia del povero campione.
A distanza di dieci anni dalla morte, una perizia di parte afferma che Pantani sarebbe stato picchiato e costretto a bere cocaina nella propria stanza d’albergo.
La cosa è tutta da verificare e dalla Procura di Rimini si sono affrettati di dire che l’avvio dell’indagine è <+cors>“un atto dovuto”<+testo_band>.
A chi per anni ha seguito la vicenda e letto tutte le carte processuali, le osservazioni critiche che vengono mosse a chi condusse l’inchiesta sembrano fragili, oltretutto già considerate dagli inquirenti. Ad ogni modo, anche se le perplessità sui contenuti dell’esposto non mancano (e la stampa locale le ha rilevate con documentazione), sarà meglio lasciare che la giustizia compia il suo iter e verifichi fino in fondo quanto sostiene la famiglia e la perizia del prof. Francesco Maria Avato.
È comprensibile che una madre non sappia farsi ragione del dramma che gli ha strappato così violentemente un figlio. Ed è naturale che ne difenda il ricordo fino all’ultimo. Non è altrettanto corretto invece fare di questo dramma un’ulteriore occasione di spettacolo e business. Oggi gli squali si tuffano anche nelle pozzanghere. Anzi, meno acqua c’è, più sporca è, e meglio ci sguazzano.
E pensare che due settimane fa un ben altro genere di “squalo”, quello di Messina, il Nibali nazionale, ci deliziava al Tour dei suoi scatti, facendo correre la mente al Pirata e alle sue imprese adrenaliniche.
Perché non lasciare in pace lo sfortunato campione, ora che il tempo aveva lenito il dolore incredulo di quei giorni ormai lontani? Perché non tenere come dolce ricordo solo quello delle fantastiche emozioni che Pantani ci ha saputo regalare?
Giovanni Tonelli