Nell’anno del centenario pucciniano Manon Lescaut ha aperto la stagione d’opera bolognese al Comunale Nouveau
BOLOGNA, 26 gennaio 2024 – Nell’anno pucciniano il cartellone lirico bolognese celebra un compositore amatissimo dal pubblico attraverso tre titoli, che diventano addirittura cinque, perché le opere del Trittico saranno proposte separatamente. La stagione 2024 di Bologna ospitata al Comunale Nouveau, uno spazio del quartiere fieristico trasformato in sala teatrale nell’attesa che vengano completati i lavori sullo storico edificio del Bibbiena, si è così inaugurata con Manon Lescaut, il ‘dramma lirico in quattro atti’ che nel 1893 segnò la prima grande affermazione di Puccini.
Firma la regia di questo nuovo spettacolo Leo Muscato, capace di scendere a patti con un palcoscenico dalla larghezza spropositata, per lo meno rispetto all’altezza. Di grande aiuto è l’impianto scenico di Federica Parolini, realizzato con una terra rossiccia: grazie a semplici accorgimenti – togliendo o, a seconda dei casi, aggiungendo oggetti – è in grado di trasformare la piazza di Amiens del primo atto nella casa di Geronte durante il secondo, per poi diventare la caserma di Le Havre, nel terzo, e il deserto americano nell’atto conclusivo. Ed è proprio la presenza di quest’unica cornice a creare quella liaison des scènes fra i quattro atti di Manon Lescaut, sostanzialmente concepiti come altrettanti tableaux ben separati. I suggestivi costumi tardo ottocenteschi di Silvia Aymonino e la sapiente illuminazione di Alessandro Verazzi contribuiscono alla riuscita dello spettacolo sul piano visivo. Lo slittamento temporale di un secolo rispetto all’ambientazione originale (il romanzo dall’abate Prévost da cui è tratta l’opera è un’icona della letteratura settecentesca) rende ancor più plausibile una vicenda che ha per protagonisti due giovani, talvolta un po’ avventati e, soprattutto, emotivamente fragili. La scelta registica si rivelerà poi particolarmente funzionale nel risolvere il secondo atto, quello con la lezione di musica e di ballo, che qui viene invece trasformata in un pionieristico set fotografico, come solo nell’ottocento sarebbe stato possibile.
Puccini, tuttavia, non ha grande necessità di sostegno visivo: la sua forza teatrale è impressa già nella musica. Al soprano Erika Grimaldi, debuttante nel ruolo del titolo, sono sufficienti pochi gesti per trasmettere il carattere ondivago di Manon, combattuta tra l’amore per Des Grieux e la fascinazione del lusso: sul piano vocale le basta il bel colore scuro della voce e la capacità di saperla dosare anche In quelle trine morbide e, con esiti ancor più ragguardevoli, nelle sfumature di Sola… perduta… abbandonata. Interprete dell’impervio ruolo di protagonista maschile, dove è richiesta una continua progressione drammatica nel corso dell’intero arco narrativo, il tenore Luciano Ganci, che ha tratteggiato con bella voce e generosità un passionale e introverso Des Grieux. Il baritono Claudio Sgura è stato un Lescaut disinvolto sul versante scenico e sufficientemente sonoro. Il basso Giacomo Prestia, nei panni del vecchio Geronte, ha saputo dare l’idea di quel potere che deriva dal denaro, imprimendo al suo canto anche sfumature di cattiveria. Nel ruolo di un Musico inappuntabile, senza mai cedere alla leziosità, era il mezzosoprano Aloisa Aisemberg. I tre tenori caratteristi concepiti da Puccini come altrettanti tasselli di uno stesso arco drammaturgico-vocale (dovrebbe interpretarli il medesimo cantante) erano Paolo Antognetti, che ha esibito giovanile baldanza e scioltezza vocale nelle vesti dello studente Edmondo, il maturo Bruno Lazzaretti come Maestro di ballo e un corretto Cristiano Olivieri nei panni del Lampionaio.
Sul podio Oksana Lyniv, attuale direttore musicale dell’orchestra bolognese, ha coordinato con braccio preciso gli strumentisti e le masse corali. Purtroppo nella sua lettura latitava quella sensualità che permea l’orchestrazione pucciniana: qualcosa che non è legato solo all’eros della vicenda, ma si ricollega alla lezione del Tristano che il compositore aveva profondamente assimilato. Le dinamiche sono dunque apparse talvolta appiattite nella mera contrapposizione fra i diversi piani sonori ed è venuto a mancare quel flusso continuo della musica capace di avvincere l’ascoltatore. A fare le spese di questa direzione fin troppo rigorosa è stato soprattutto il celebre Intermezzo: una pagina spesso proposta, non a caso, anche in sede sinfonica, autentica quintessenza della grandezza di Puccini come orchestratore.
Giulia Vannoni