Ginevra, 1999. Al Musèe d’Art et d’Histoire arrivano i resti della cosiddetta mummia di Mistra, l’antica Sparta capitale della Morea. Sono reperti ossei, biologici e vestimentari che un gruppo internazionale di studiosi di varie discipline deve sottoporre a restauro e ad analisi molto sofisticate. Li guida Marielle Martiniani-Reber, famosa archeologa dei tessuti all’università di Lione. Nel 2000 è lei che fornisce l’identikit della mummia, una giovane aristocratica occidentale, anzi un’italiana. Silvia Ronchey ne scrive raccontando della “Flagellazione” di Piero della Francesca (L’enigma di Piero, 2006).
Un po’ di storia
Quella giovane si chiama Cleofe Malatesti, ed è nata a Pesaro all’inizio del XV secolo dal signore della città Malatesta I, detto “dei Sonetti o Senatore” (1366 ca-1429) e da Elisabetta Da Varano (1367-1405) di Camerino. Malatesta I è figlio di Pandolfo II e Paola Orsini (pronipote di un fratello di papa Niccolò III); nipote di Malatesta Antico detto Guastafamiglia (1299-1364); e pronipote di Pandolfo I nato da Malatesta da Verucchio “il centenario”. Fratello di Malatesta Antico è Galeotto I (1301 ca-1385) che nel 1367 sposa Gentile da Varano, sorella di Elisabetta madre di Cleofe. Da loro nascono Carlo (1368-1429), marito di Elisabetta Gonzaga (sorella di Francesco che sposa Margherita sorella di Carlo…), e Pandolfo III (1370-1427) signore di Brescia nonché padre di Sigismondo Pandolfo Malatesti e di Domenico Novello, rispettivamente signori di Rimini e di Cesena.
Malatesta “dei Sonetti” oltre a Cleofe ha altri sei figli (che elenco in ordine sparso). Galeotto muore a 16 anni (1414). Galeazzo “l’inetto” nel 1405 sposa Battista di Montefeltro. Paola nel 1410 sposa Gianfrancesco Gonzaga (figlio di Francesco e Margherita Malatesti). Di Carlo diremo fra poco. Taddea, moglie (1417) del signore di Fermo Ludovico Migliorati, muore nel 1427. Infine c’è Pandolfo (1390-1441), nel 1424 inviato quale arcivescovo alla diocesi di Patrasso dipendente da Costantinopoli. “Grande religioso di bona vita” e “dottissimo in iscienza” lo descrive Gaspare Broglio.
Nel 1415 Pandolfo è presente al concilio di Costanza e nel 1417 al conclave che elegge Martino V. Arcidiacono bolognese (1404), governatore dell’abbazia di Pomposa (1407) ed amministratore “loco episcopi” (1413-1418) della diocesi della città di Brescia governata da Pandolfo III, egli è poi vescovo di Coutances in Normandia sino al 1424, nei duri momenti della conquista inglese durante la guerra dei cento anni. Nel 1430, quando Patrasso passa dal dominio veneziano (iniziato nel 1424) a quello bizantino, Pandolfo fugge dalla propria sede e ritorna a Pesaro. Nel 1429 a difenderlo presso i sovrani bizantini si è recato suo padre, approfittando di una fallita missione a Mistra affidatagli da Venezia.
Il corpo di Cleofe?
Ritorniamo al corpo esaminato a Ginevra. Se è di Cleofe, resta il mistero di un particolare autoptico: “una perforazione all’altezza del cuore, la cui natura non è certa”, scrive Ronchey. Ciò conferma l’ipotesi di una drammatica fine della giovane che “visse miseramente, soffrendo da buona Cattolica mille insulti dallo scismatico Teodoro suo marito” (1396-1448), despota di Morea e figlio dell’imperatore bizantino Manuele II (1350-1425), sposato il 19 gennaio 1421. Così nel 1782 Annibale Degli Abati Olivieri Giordani per primo rivela la drammatica vicenda di Cleofe, pubblicando la lettera inedita inviata nel 1427 da Battista di Montefeltro a Martino V, Oddone Colonna, per invocare un intervento “in difensionem” della cognata.
Malatesti e Montefeltro sono imparentati con il papa tramite due sue nipoti: Vittoria Colonna nel 1416 ha sposato Carlo, fratello di Cleofe; Caterina Colonna dal 1424 è la seconda moglie di Guidantonio di Montefeltro (1377-1443), fratello di Battista. La prima consorte di Guidantonio era stata, dal 1397 al 1423, Rengarda dei Malatesti di Rimini.
Le nozze del 1421 tra Cleofe e Teodoro sono state combinate durante il concilio di Costanza (1414-1418). Carlo Malatesti signore di Rimini e rettore vicario della Romagna dal 1385, sabato 15 giugno 1415 arriva a Costanza quale procuratore speciale di Gregorio XII “ad sacram unionem perficendam”. Carlo è molto legato a Cleofe che di frequente soggiorna presso di lui a Rimini. Il 16 Carlo si presenta all’imperatore, “significandogli la propria missione, e come fosse diretto a lui, non al Concilio, che Papa Gregorio non riconosceva” (L. Tonini). Lo stesso 16 giugno Carlo incontra pure Manuele II imperatore d’Oriente e futuro suocero di Cleofe. Nei giorni successivi Carlo visita i deputati delle singole nazioni, con particolari ricevimenti da parte di quelli italiani, inglesi, tedeschi e francesi, dimostrandosi mediatore sapiente e fermo ma aperto alle altrui ragioni. A Costanza si trova pure il patriarca di Costantinopoli Jean de la Rochetaillée.
La famiglia di Cleofe
Anche il padre di Cleofe ha acquisito benemerenze religiose nei tormentati anni dello scisma occidentale (1378-1417). Nel 1410 l’antipapa Giovanni XXIII lo ricompensa dei servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, “circa extirpationem detestabilis scismatis et consecutionem desideratissimae unionis”, attribuendogli “vita durante” la somma di seimila fiorini l’anno, pari a cinque volte il censo che il signore di Pesaro pagava a Roma.
A Giovanni XXIII, Carlo di Rimini ha scritto prospettando vari progetti per addivenire alla riunione della Chiesa, prima di muovergli guerra nell’aprile 1411 come rettore della Romagna per ordine di Gregorio XII e con l’aiuto di Pandolfo III di Brescia, al fine di “reperire pacem et unionem Sactae Matris Ecclesiae”. Gregorio XII in una bolla (20.4.1411) scrive che Carlo, “verae fidei propugnator”, ha giustamente deciso “se de mandato nostro movere, et pro defensione catholicae fidei, ac honore et statu, atque vera unione ac pace universali Ecclesiae”. In dicembre a Carlo i veneziani, fedeli a Giovanni XXIII, affidano un esercito da guidare contro l’imperatore Sigismondo. Nell’agosto 1412, Carlo resta ferito per cui lascia il comando al fratello Pandolfo III.
Nell’ottobre 1418 Martino V, mentre sta ritornando da Costanza, fa sosta prima a Brescia e poi a Mantova. A Brescia avviene il suo incontro con l’arcidiacono Pandolfo, fratello di Cleofe, amministratore della diocesi. A Brescia il papa trova il signore di Rimini Carlo accompagnato dalla moglie Elisabetta Gonzaga, e Malatesta I di Pesaro. Il quale ottiene dal pontefice due provvedimenti: la rinnovazione della propria signoria e la sede vescovile di Coutances per il figlio arcidiacono.
Le fiamme cancellano la storia
Per cancellare la storia di Cleofe, bastano le fiamme che nel 1462 distruggono a Rimini gran parte dell’archivio malatestiano (poi spogliato delle carte superstiti su iniziativa pontificia fra 1511 e 1520); ed a Pesaro il 15 dicembre 1514 la biblioteca ed i documenti della famiglia della sposa bizantina, dopo che nel 1432 e nel 1503 un “arrabbiato popolo” vi aveva distrutto le scritture pubbliche. In quelle fiamme scompaiono le tracce che potevano portare ad accusare la Chiesa di Roma del sacrificio di una giovane innocente, scelta dal Papa con soddisfazione del suo casato: per i Malatesti, in quei giorni attorno al 1420, erano aumentati potere e prestigio.
Sopravvivono soltanto le memorie orientali. E resta la leggenda del ritorno in patria di Cleofe: forse accreditata dagli stessi Malatesti per nascondere la sconfitta politica subìta, o forse diffusa dalla Chiesa al fine di mascherare le proprie colpe. Roma, consapevole di possibili tracce accusatorie lasciate a Pesaro ed a Rimini dalla clamorosa vicenda, avrebbe provveduto a distruggerle. Sono semplici ipotesi. Come quella di Silvia Ronchey circa la fine di Cleofe: una morte che ha “poche probabilità di essere stata accidentale”, e che sarebbe dovuta alla “longa manus della curia romana”.
Cleofe “probabilmente assassinata, certamente travolta dal doppio gioco al quale era stata costretta fin dal suo arrivo a Bisanzio”, visse cercando un impossibile equilibrio sul filo che collegava il Papa ed il consorte. Giocò con coraggio una partita che da sola non poteva vincere. Ronchey ipotizza l’uccisione di Cleofe per evitare che mettesse al mondo un erede al trono bizantino. Se un figlio maschio fosse nato, “il corso della storia avrebbe potuto essere diverso: se la storia potesse farsi con i se”.
Le nozze di Cleofe sono state celebrate il 19 gennaio 1421 assieme a quelle di Sofia di Monferrato con Giovanni VIII Paleologo. Sofia e Cleofe sono state unite nello stesso progetto di Martino V (che secondo Ronchey scelse “personalmente” la Malatesti), per riunire la Chiesa latina e quella greca, separate sin dal 1054. Assieme, Sofia e Cleofe, s’erano imbarcate a Venezia per Costantinopoli. Il prologo del viaggio di Cleofe era stato segnato dal triste presagio dell’imbarcazione costretta dal maltempo a rientrare in porto a Rimini, per cui dovette compiere via terra il viaggio sino alla laguna. Anche di Sofia di Monferrato le cronache del tempo offrono scarse notizie: nell’agosto 1425 Sofia scappa da Costantinopoli, poco dopo la scomparsa del suocero Manuele II. Cleofe muore nel 1433, lasciando una figlia, Elena, nata tra 1427 e 1428.
(1 – continua)
Antonio Montanari
(Nella foto un possibile ritratto di Cleofe (Mantova), secondo la storica Diana Gilliland Wright)