Il 25% del reddito della nostra città è in mano alla criminalità organizzata”. L’affermazione non è di questi giorni, dopo che l’operazione Vulcano ha svelato le ramificazione della criminalità organizzata sul territorio riminese, ma del dicembre 1987. Ed è di Mario Gentilini, allora presidente uscente delle Acli riminesi, che in un’intervista al Ponte spiegava con particolari la sua affermazione: traffico di droga, prostituzione, bische, racket, contrabbando e riciclaggio di denaro sporco. I dati erano esagerati? Nessuno si preoccupò di contraddirli. Il ventre panciuto di una Rimini di gomma digerì tutto, senza battere ciglio.
Non era certamente la prima volta che si parlava di criminalità organizzata in Riviera. Già forte era la polemica per i soggiorni obbligati, che portò “in esilio” nella provincia di Forlì e poi di Rimini, dal 1965 al 1995, ben 433 mafiosi o presunti tali.
In due puntate del Tam-Tama, nei numero 4 e 5 di quest’anno, Montanari ha ripercorso come nella sua rubrica già dal 1990 ripetutamente, attraverso il semplice racconto di fatti, furono lanciati preoccupati messaggi. Le cronache ci dicono che non c’è stato anno in cui certi misfatti non fossero direttamente riconducibili ad attività mafiose o camorristiche.
Ma neanche rapporti ufficiali, come quello che Ciconte realizzò per la Regione nel 2002 smossero seriamente le acque. Si denunciava che erano “state molto poche le indagini della magistratura tese ad accertare i passaggi di proprietà – spesso effettuati con denaro contante e con somme superiori a quelle normalmente richieste dal mercato locale – che sono intervenuti nell’ambito di negozi, ristoranti, pizzerie, attività commerciali, palazzi, alberghi, discoteche) e ancora più scarsi gli accertamenti sulle immissioni di denaro sporco in una economia ricca e opulenta”.
Eppure in questi 30 anni abbiamo avuto rappresentanti del governo, sindaci, a volte questori e magistrati che hanno sottovalutato o ignorato questi messaggi, quando addirittura pubblicamente negato o irriso le denunce che semplici cittadini e giornalisti facevano senza avere gli strumenti che loro hanno. Mi chiedo se non c’è almeno una responsabilità morale, ed anche politica ed economica (qualcun altro dovrà verificare se non c’è dell’altro) in questo atteggiamento.
Non serve fare allarmismi, né pensare che adesso la mafia gestisca la Riviera (grazie a Dio ancora non si è verificata alcuna forma di controllo del territorio, come invece già denunciato in alcune zone della Lombardia), ma ognuno, cominciando da chi oggi ha responsabilità, s’interroghi ed agisca.
Giovanni Tonelli