Al Teatro Nazionale Croato di Fiume è stato ripreso il bellissimo spettacolo del regista Marin Blažević. Protagonista Giorgio Surian
FIUME, 19 febbraio 2019 – Alle radici del Macbeth c’è la complicità fra l’ambizioso protagonista e sua moglie. E se i due si dicono ben poco in maniera esplicita, la criminale alleanza che s’instaura nella coppia si cementa soprattutto attraverso il non detto: bastano occhiate intense, impercettibili movimenti del corpo e piccole variazioni cromatiche a comunicare una gamma inesauribile di sentimenti. Per il regista Marin Blažević è questo aspetto del loro legame a diventare il fondamentale nucleo drammatico dell’opera di Verdi. In primo piano solo sguardi eloquenti, più espressivi di qualsiasi parola, o segnali invisibili agli altri e inequivocabili invece per loro. Spetterà semmai alle streghe (senza barba o altre deformità suggerite dal libretto), che si muovono nella penombra come un unico blocco compatto, dare un nome alle mostruose materializzazioni dell’inconscio del protagonista, alla sua brama di potere come pure a inoculargli il terrore per la devastante rovina cui andrà incontro.
Il bellissimo spettacolo, concepito lo scorso anno per il Teatro Nazionale Croato Ivan Zajc di Fiume (diretto da Blažević), è stato adesso ripreso sempre nella stessa sede. Realizzato con una grande economia di mezzi è potentissimo sul piano emotivo, grazie all’accurato lavoro gestuale nello scavo della psicologia dei personaggi. Nel primo e quarto atto, sul fondale, scorre un filmato dove troneggiano i volti ingigantiti dei due protagonisti: una sorte di lente destinata a ingrandire l’azione che si svolge in palcoscenico. I numerosi fari adagiati sulla scena indirizzano il loro fascio luminoso – talvolta in modo persino violento – su qualche dettaglio, obbligando così chi guarda (light designer Dalibor Fugošić) a seguire il flusso della narrazione visiva, cui danno un fondamentale contributo i plastici movimenti di Selma Banich: le danze vengono tagliate, però sono coreografati altri momenti fondamentali, come Ondine e silfidi. L’unico arredo è dato da due imponenti sedie, dalle quali Macbeth e la moglie non si alzano quasi mai (quella della Lady diventerà simile a una carrozzina quando lei è ormai moribonda), sopraelevate su un basamento di pietra: un trono di foggia barbarica, realizzato da un gruppo di dieci studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, coordinati dallo scenografo Edoardo Sanchi. Costumi neri e semplicissimi (di Sandra Dekanić) per tutti, tranne quelli dei due protagonisti, grigio-fango, destinati a colorarsi sempre più con il rosso del sangue.
Protagonista Giorgio Surian che, dopo tanti anni di carriera internazionale come basso, ora canta ruoli baritonali. Il cantante fiumano – autentica gloria della sua città – affronta il personaggio di Macbeth con voce un po’ usurata, ma che nella zona grave riesce ancora a trovare fascinose risonanze: la sua interpretazione punta soprattutto sull’idiomaticità delle parole e la ricchezza degli accenti. A questo si aggiunge un’ampia gamma gestuale e mimica che, di volta in volta, permette di far emergere la bramosia del potere, la crudeltà e il ripiegamento finale. È un soprano lirico Kristina Kolar, acclamata artista stabile del Teatro, ma la voce sa essere molto penetrante in acuto, così che la sua Lady Macbeth assume un’intensa caratura drammatica. Magnetica in scena, con lo sguardo manipolatore – è seduttiva, imperiosa, ma pure protettiva e complice – avvolge il marito, ostentatamente più vecchio di lei, fino a spingerlo all’omicidio e poi a sostenerlo una volta conseguito il potere. Il suo crollo finale assume sfumature struggenti in grado di rendere tutta la penosa devastazione di una mente malata.
Appositamente concepiti dalla regia per restare nell’ombra gli altri personaggi. Il basso Luka Ortar è un Banco che vocalmente non riesce ad andare oltre i limiti di una certa routine. Dopo un avvio abbastanza incerto, il tenore Giorgio Cristian Surian è riuscito a trovare la giusta dimensione soprattutto nella Paterna mano. Tra i personaggi minori, degni di nota Vanja Zelčić, la dama della Lady, e il dottore di Dario Bercich, interprete anche del sicario.
Ben corrisposto dall’orchestra del Teatro, il bulgaro Yordan Kamdzhalov – nuovo direttore principale del teatro fiumano – ha curato attentamente l’articolazione del fraseggio orchestrale: un Verdi essenzialmente sinfonico, non secondo la cantabilità della tradizione italiana, e per questo forse ancor più interessante. Anche la scelta di modificare il finale (è stato eseguito quello del 1847, nonostante si trattasse della seconda versione, del 1865, però con il taglio delle danze), dove Macbeth si spegne lentamente mentre canta con voce sempre più fioca, rientrava in questa logica. Oltre a lasciare il primo piano al protagonista Surian.
Giulia Vannoni