La storia è tipica di certo costume italico: c’è un bene pubblico, la spiaggia, che per oltre mezzo secolo è stata concessa, senza gara pubblica e a prezzi di favore, a gestori che se le tramandano di padre in figlio come fosse un bene proprio, oppure la mettono in vendita per cifre che possono superare anche mezzo milione di euro. Guadagno per lo Stato (ricordiamo che l’Italia è il terzo paese più indebitato al mondo), pochi spiccioli (circa 100 milioni di euro, che fanno meno di 4.000 euro per concessione). Per confronto, il Comune di Milano, ricava annualmente circa 60 milioni di euro dagli affitti della sola galleria Vittorio Emanuele II. Ora, dal 2006 una Direttiva (Bolkestein) dell’Unione Europea, recepita in Italia nel 2010, chiede a tutti gli Stati di aprire al mercato e mettere a gara le concessioni. Prassi normale, si dovrebbe dire. Non quando si toccano interessi consolidati.
Il caso dei balneari è uno di questi. Sono pochi (le concessioni per uso turistico-ricreativo, tipo stabilimenti balneari, sono meno di 7.000), ma agguerriti, tanto da essere riusciti a tenere in scacco governi e partiti di tutti i colori. Resistenza, è bene evidenziarlo, che
può costare all’Italia, per infrazione alla direttiva Ue, una somma, a carico di tutti gli italiani, di almeno 10 milioni di euro. Finalmente, dopo innumerevoli corsi e ricorsi, l’ultima sentenza del Consiglio di Stato che ha decretato decadute tutte le concessioni esistenti, pare avvicinare la fatidica messa in gara. Ed è già partita la campagna contro i ‘grandi gruppi’ che si stanno facendo avanti.
Il caso scuola, agitato come uno spauracchio, è quello dell’imprenditore Polegato, patron del gruppo Geox (quello delle scarpe per intenderci), che a Jesolo, con altri albergatori, si è aggiudicato un pezzo di spiaggia, tra l’altro di fronte ad un albergo già di sua proprietà. Punterà su nuovi servizi, con un investimento promesso di circa 8 milioni di euro. Qui veniamo al vero problema.
Per innovare i servizi di spiaggia bisogna investire tanto, anche milioni. Quanti degli attuali gestori hanno la capacità di farlo? Molto pochi. Si potrebbero unire, abbandonando l’individualismo che li caratterizza, costituendo consorzi di operatori, come stanno facendo a Caorle, Jesolo e altri comuni costieri, e partecipare alle gare con offerte competitive. Con buona
probabilità di spuntarla. Un fatto comunque è certo: così come stanno i servizi di spiaggia non sono competitivi. Basta percorrere il nuovo Parco del Mare, poi mirare sul lato spiaggia, lo stesso da oltre mezzo secolo, per capire che non c’è confronto. Il turismo di Rimini ha bisogno di crescere, in qualità più che in quantità, e l’attuale organizzazione della spiaggia è un freno. Non si tratta, quindi, di tifare per piccoli o grandi gruppi, ma di avere soldi da spendere per aggiornare i servizi da tempo fuori mercato. Se, poi, a farlo sono imprenditori locali, meglio.