Caro Vescovo, adesso sugli zingari stattene zitto. Il maxi Comitato usa parole più dolci, ma poi sui social scatena la tempesta. “La chiesa si faccia da parte, ora basta!”, “Siamo impazziti…”, scrive un altro, “Ma io non la definirei neppure pazzia, questa è disonestà allo stato puro”.
Cosa aveva affermato il Vescovo di tanto… Disonesto? “ Ci domandiamo: è umano e cristiano un atteggiamento oggettivamente discriminatorio, basato su pregiudizi secolari, su paure paralizzanti, su sospetti e velenose diffidenze? Diciamo basta a muri, recinti e steccati. Sì a ponti, legami e a buone relazioni”.
Cari amici, di cosa stiamo discutendo?
Di 11 famiglie (per un totale di una settantina di persone) che saranno disseminate su di un territorio dove ne abitano 150.000.
Parliamo di riminesi, shinti, zingari italiani. Gente che vive qui da almeno tre generazioni; non sono nomadi, sono stanziali. Trent’anni fa avevano le giostrine dei bambini e i calcinculo, poi le innovazioni tecnologiche hanno lasciato i più poveri senza reddito e lavoro. Si sono allora arrangiati vendendo fiori, calze o piccoli soprammobili e chiedendo aiuti alle parrocchie o in Caritas.
Come in tutte le famiglie, alcuni di loro, pochi, si sono comportati male, hanno avuto problemi con la giustizia, ma i più no. Chi in questi anni ha abitato vicino a loro, li ha aiutati e non si è lamentato di nulla.
Parliamo di aziende e di famiglie; chi donava un buono benzina, chi un po’ di generi alimentari. Chi li conosce personalmente, per nome, non ha motivi per averne paura.
La legge europea ci obbliga ad intervenire, prevede che siano smantellati i campi, dove poche mele marce possono condizionare la vita di tutti, luoghi dove purtroppo è cancellata la responsabilità personale.
Lo fa per facilitarne l’integrazione e perché considera queste persone svantaggiate, proprio perché popolazione discriminata.
Nessuno si scandalizza se la legge prevede agevolazioni per un handicappato nella ricerca del lavoro. È normale ed è giusto.
Così è per gli zingari: finché non ci sarà una vera integrazione, nella ricerca della casa e del lavoro saranno sempre svantaggiati.
Sono italiani come noi, ma in una corsa di 100 metri loro ne devono percorrere 200.
La stessa fatica ad accettare una sola famiglia in un quartiere ci dice che possibilità hanno di trovare casa in affitto o lavoro, come tutti gli altri italiani.
A Rimini alcuni di loro lavorano, ma hanno evitato di raccontare che abitano al campo di via Islanda per non perdere quel posto con fatica conquistato.
Tra l’altro il progetto riminese riguarda i shinti italiani, ma i Comitati continuano a parlare di rom, che, per inciso, non sono neppure i romeni (e non rom) accampati vicino al fiume. Ma, in questa che ormai è solo una grande operazione politica pre elettorale, tutto fa brodo. Un gran mix di paure, unito ad esperienze spiacevoli, che ciascuno di noi ha vissuto, quando qualcuno è entrato in casa e ci ha portato via denari e affetti. Forse erano solo tossici o professionisti, ma la prima parola balzata alla mente e alle labbra è stata: zingari.
Io, come tanti, sono stato “battezzato” più volte. Ho anche sorpreso zingari in casa, per cui so cosa si prova.
Ma so anche distinguere fra le persone e fra shinti e rom annovero tanti amici, alcuni buoni, altri meno, come in tutte le famiglie.
E quando qualcuno mi dice: prendili a casa tua, rispondo che da ormai un anno una famiglia rom che era sulla strada e non trovava casa (e questi la cercavano!) è ospite, anche se in modo precario e provvisorio, della mia parrocchia. Sono puliti, lui lavora a contratto di sei mesi con la Formica, in casa c’è un bimbo di tre anni, il figlio ventenne cerca ma, come molti giovani non zingari, non trova lavoro.
Possiedono un pezzetto di terra, che tanti anni fa la Curia riminese ha donato loro, ma come vi sono andati, con la loro roulotte, è intervenuta la Polizia Municipale (forse chiamata da qualche Comitato?): qui non si può stare, è terreno agricolo.
Qualcuno mi spieghi quali privilegi hanno queste persone. E chi dovrebbe avere paura di loro e perché.
di Giovanni Tonelli