“Don Biagio Della Pasqua: l’uomo, il cristiano, il prete. (…) Noi ora vogliamo cogliere il segreto di questa esistenza, che più di una bella vita, è stata una vita bella, buona, beata. Con i suoi giorni lieti e altri duri, come lo è ogni vita normalmente umana e umanamente normale. Comunque una vita pienamente vissuta, perché generosamente, gratuitamente, lietamente donata”.
Con questo pensiero il vescovo Francesco ha introdotto l’omelia in occasione del funerale di don Biago Della Pasqua, per 30 anni parroco di San Pio V, celebrato sabato 19 giugno, nel pomeriggio, a Cattolica, all’aperto, per consentire la più ampia partecipazione possibile. Per decenni a servizio della comunità locale, ma anche dell’Azione Cattolica diocesana, e insegnante al Liceo Giulio Cesare, don Biagio si è spento a 77 anni dopo una lunga malattia.
Una piazza gremita, nonostante il caldo, per l’ultimo saluto a un sacerdote che era entrato nel cuore di tutti, per la sua fede, la sua attenzione e la sua intelligenza. A fianco dell’altare, allestito in piazza della Regina, erano tanti i sacerdoti che hanno concelebrato insieme al vescovo Lambiasi. Presenti anche le autorità locali.
“La sua è stata veramente una esistenza pasquale. – ha detto il Vescovo – Il Don ha veri-ficato in pieno il suo cognome: è stato un cristiano ‘della Pasqua’. Ha incontrato Cristo e si è percepito come un cristiano autenticamente ‘pasquale’.
Nella sua ultima intervista rilasciata a Icaro TV e trasmessa in occasione del ritiro del clero dell’ultimo mercoledì santo, don Biagio ha raccontato la sua solidarietà con i malati. Lui che si era sempre adoperato per i poveri e i malati, ha vissuto l’ultimo tratto della sua vita in totale, cordiale fraternità con i poveri-malati, lasciandosi evangelizzare da loro e diventandone loro evangelizzatore. Me ne parlava in una lettera del novembre 2019 in questi termini: “Negli ultimi anni ho imparato a convivere anche con la malattia, che in alcuni momenti si è presentata in modo aggressivo. In queste situazioni il Signore mi ha dato serenità. Anche in questi mesi la mia condizione di salute è segnata dalla presenza di un tumore che da due anni viene curato e tenuto più o meno sotto controllo, almeno sembra, poiché sorgono sempre nuove complicanze.
Questa esperienza di fragilità mi ha fatto incontrare tante persone malate e condividere con loro la speranza familiare e meno ufficiale.
La seconda conclusione della meditazione del Vescovo sulla vicenda di don Biagio: “Credere è fidarsi e affidarsi alla parola di Gesù. Non è non sentire la paura, ma non acconsentire alla paura. Il Signore ci salva, ma non in modo magico Non ci salva dalla tempesta, ma nella tempesta. Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore. Come il Padre non salva il Figlio dalla croce, ma nella croce.
Sabato scorso, quando le condizioni di don Biagio cominciavano ad aggravarsi, mi sono recato di buon mattino a Montetauro per concelebrare in anticipo con lui l’anniversario della sua ordinazione, che sarebbe ricorso dopodomani, 21 giugno, lui era già pronto con i paramenti presso l’altare. Passandogli vicino, mentre si svolgeva il canto d’ingresso, gli ho chiesto sottovoce se si sentiva di ricevere anche l’unzione degli infermi. Era molto sereno e ormai preparato per passare all’altra riva”.
L’ultimo pensiero è dedicato alla prima lettura scelta, quella della vocazione di Abramo: “ Don Biagio, da vero figlio di Abramo, ha vissuto una vita scandita da quella chiamata: “Esci dalla tua terra e va’…”, quando a 11 anni è stato chiamato a uscire dalla terra della sua casa per entrare in seminario.
Quando a 25 anni ha lasciato la terra del seminario per essere ordinato presbitero e andare nella parrocchia di Miramare. E poi quando è andato nel seminario diocesano come vicerettore e ha cominciato a insegnare Religione al Liceo classico di Rimini. E poi quando, nel 1977, a 33 anni, è stato chiamato dal vescovo Biancheri a fare l’assistente diocesano della rinata ACI. E poi ancora quando a 49 anni è stato nominato parroco di San Pio V, a Cattolica. Trascorsi 9 anni, scrisse la sua rinuncia alla parrocchia, cosa che non era tenuto a fare, e che il vescovo De Nicolò non accettò. Arrivato all’età dei 75 anni – l’età di Abramo! – mi scrisse una lettera che si chiudeva così: “Vorrei consegnare, in piena libertà, la mia vita al Signore, libero da progetti per il futuro e unicamente attento a non intralciare le strade di bene che il Signore vuole per la sua Chiesa”.
Ecco l’ultima lezione di don Biagio: credere è uscire da sé e sperare in Dio, nostro Padre”.