Siamo gli eredi di un desiderio. Quello che sostenne Padre Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella sua tenace impresa, magari scambiata all’epoca, almeno da qualcuno, per un’illusione, un progetto irrealistico. Il desiderio di mettere al mondo qualcosa che andasse a beneficio delle nuove generazioni: offrendo opportunità di una formazione alta per tutti, in particolare per gli studenti motivati ma poveri di mezzi; intuendo l’importanza educativa della relazione (basta pensare al ruolo dei collegi), come contesto propizio per appassionarsi al sapere; scommettendo sulla possibilità di coniugare, anziché contrapporre, l’esercizio della ragione e la fede nella ricerca della verità; soprattutto, ponendo la persona, nella sua integrità e ricchezza, al centro dell’azione educativa.
Questa intuizione, divenuta realtà, ci è stata consegnata e ne siamo responsabili. Siamo figli del sogno di Padre Gemelli, e abbiamo ricevuto un’eredità importante: come continuare a valorizzarla, come renderla luce per la cultura contemporanea, come trasmetterla a chi verrà dopo di noi è una sfida impegnativa, ma anche un compito irrinunciabile.
Un compito che, se vogliamo raccogliere pienamente la lezione ricevuta, passa per il generare e non per il difendere (e difendersi); per la proposta di una via di pienezza che non ha paura di misurarsi con il presente anziché per la contrapposizione alle posizioni dominanti. Proprio per questo l’università diventa capace di farsi luogo di pensiero, di confronto, di proposta: in una parola, di vita.
Ma cosa significa questo, concretamente, oggi? Come questa missione che abbiamo ricevuto si traduce in un progetto, in uno stile educativo e in prassi quotidiane realmente differenti?
Intanto tenere viva la memoria e rigenerare ciò che ha fatto nascere questo Ateneo per rigenerarci continuamente senza lasciarci assorbire da logiche sempre più disumanizzanti (il trionfo delle procedure, il mito della performance, la misurazione quantitativa del valore) è una condizione necessaria. Solo così possiamo accompagnare la generazione che ci è affidata a venire veramente alla luce, a entrare nel mondo con un insieme di competenze che non sono solo tecniche e specialistiche, ma integrali.
In un mondo in cui il mito della potenza assoluta spinge a cercare di produrre la vita in laboratorio, in nome di una autonomia vista come autosufficienza radicale dell’individuo, e di una libertà come aumento illimitato delle possibilità il nostro educare segue e propone una via diversa.
La memoria dell’eredità ricevuta e da trasmettere ci immette pienamente nel tempo in cui viviamo, liberi dalla dittatura dell’istante, della contingenza, dell’emergenza, mentre le radici ci aiutano a non venire spazzati via dalle correnti più forti. La gratitudine per quanto ricevuto sollecita la responsabilità, il prendersi cura di questo Ateneo a beneficio di chi verrà dopo; il legame con chi ci ha preceduti, con la verità che non ci stanchiamo di cercare, con gli studenti che possiamo educare solo in un clima di accoglienza, attenzione, reciprocità che non rinuncia all’autorevolezza è un antidoto vissutoe non ideologico ai tristi e dominanti modelli iperindividualisti, competitivi, disumanamente produttori di esclusione; l’attenzione all’integralità della persona, in tutte le sue dimensioni compresa la fragilità, rende visibile in tutta la sua bellezza quel volto umano che è invece sfigurato dal delirio di onnipotenza. La consapevolezza del limite non è allora mortificante diminuzione, ma porta di accesso alla realtà e prima ancora all’alterità. Solo nel legame con altri e grazie ad altri possiamo conoscere, condividere, trasmettere, prenderci la responsabilità del mondo che ci è dato abitare.
Desiderare, mettere al mondo (ed essere continuamente rimessi al mondo grazie all’azione educativa), prendersi cura sono movimenti generativi fondamentali, segno di uno stile che dice di una differenza. Ma fondamentale è anche essere capaci di passare il testimone, far spazio alle nuove generazioni senza occupare pervicacemente le posizioni per il loro bene. Solo così potremo essere un Ateneo veramente generativo.
Chiara Giaccardi, docente Sociologia
e Antropologia dei media,
facoltà Lettere e Filosofia,
Università Cattolica del Sacro Cuore