Un esercito che non viene alla luce ogni anno. Nel 2017, ultimo anno di cui si conoscono i dati, l’ecatombe silenziosa ha riguardato in Emilia-Romagna 7.130 aborti volontari. È il numero più basso registrato annualmente in regione dall’inizio della rilevazione, nel 1980, ma si tratta sempre di un alto numero di concepiti in grembo che non vedranno mai la luce.
A questo dato si accompagna anche quello degli obiettori di coscienza: l’incidenza dell’obiezione di coscienza tra il personale dipendente riguarda la metà dei medici ostetrici-ginecologi (50,5%) e meno di un terzo dei medici anestesisti (27,1%). I dati medi nazionali (2016) risultano decisamente più elevati: rispettivamente pari al 70,9% e al 48,8%, il 20% in più.
Ma cosa succede una volta praticata l’Interruzione volontaria di gravidanza? Dopo che il bambino non viene alla luce, come reagiscono i genitori?
“Se solo qualcuno ci avesse preso per mano, o anche solo ci avesse informato delle conseguenze di quello che stavamo facendo, sarebbe andata diversamente. Mi sarebbe bastata anche solo una chiacchierata”. Purtroppo per Luca (il nome è di fantasia), 42 anni, e la sua compagna, questo qualcuno non c’è stato, nemmeno un operatore sanitario che chiedesse i perché e le ragioni della loro scelta, come prevede la legge 194. E così, circa 6 anni fa, di fronte all’arrivo di un bambino non atteso e solo superficialmente non voluto (“Occorreva andare più a fondo – spiega oggi Luca – ma non l’abbiamo fatto”), hanno scelto l’aborto, con tutte le conseguenze che questo ha avuto sulle loro vite. È una storia che in pochi hanno il coraggio di raccontare quella che ha deciso di rendere pubblica Luca, dopo anni di psicoterapia e dolore.
Per gettare un po’ di luce in questo dramma che nessuno racconta: cosa hai provato durante il post-aborto?
“Ho provato rabbia: non capisco come possa essere trattato con tale leggerezza qualcosa che ti cambia la vita. ‘Aborto’ è una brutta parola, però è quello che ho fatto, la devo usare”.
In che situazione è avvenuto l’annuncio dell’arrivo del bambino?
“Ero in Pakistan per un lavoro importante e non volevo avere distrazioni.
Poi all’annuncio sono tornato in Italia accanto alla mia compagna”.
Che relazione esisteva tra te e la tua ragazza?
“Stavamo bene anche se con alti e bassi. Lei avrebbe voluto un altro figlio, dopo averlo ottenuto nel precedente matrimonio, ma io non ero convinto né del momento né del rapporto, ma bisognava prendere una decisione perché il tempo scorreva, dovevamo andare in vacanza e sentivamo la necessità di fare in fretta”.
C’è stato qualcuno che ha cercato di farvi cambiare idea?
“No, anche perché molte persone fanno credere che si tratti di una faccenda da risolvere senza conseguenze e nel più breve tempo possibile”.
Ci sono state conseguenze dopo l’intervento?
“Subito dopo l’operazione, lei è stata male sin da subito, sia fisicamente sia psicologicamente. Anche prima di entrare in sala operatoria, ha avuto un ripensamento: se si fosse fermata lì…”.
Qual è stata la tua reazione dopo l’operazione?
“Io alla fine le avevo detto che ci sarei stato comunque. Ma mi rendo conto che è un po’ come lavarsene le mani”.
Per quale motivo ti sei affacciato al mondo del post-aborto?
“Avevo iniziato a stare male anche io e insieme abbiamo iniziato un percorso di psicoterapia individuale e di coppia, al termine del quale ci siamo separati, perché lei non è riuscita a perdonarmi. Ed è paradossale pensare che abbiamo deciso di abortire per salvare la nostra relazione e invece questo gesto ne ha segnato la fine”.
Come ti senti adesso, ripensando a ciò che è passato?
“Mi sono perdonato, perché in quella situazione ho preso una decisione che pensavo fosse giusta. Ma con il senso di colpa faccio i conti tutti i giorni, per non avere il mio piccolo qui con me. Spesso ne sento la mancanza fisica, ci penso ogni giorno”.
Daniela Verlicchi