“Il lavoro alla lunga paga”, diceva nell’ottobre scorso il numero 1 del Rimini, Maurizio Pugliesi. Salvo poi essere smentito dai fatti con le ultime partite viste dalla panca nel triste epilogo della retrocessione. Dura la vita dei portieri. A volte solitari spettatori per 90’ col triste senza voto nel tabellino, subito impallinati alla prima gaffe. Il punto è proprio questo: “gli stadi esplodono quando si segna, non quando si para” ha detto Buffon. Perché una parata per quanto bella difficilmente fa notizia, mai quanto un gol. Ma a volte, i portieri, riempiono le pagine per altri motivi. Di storie se ne trovano tante nel bel volume di Luigi Guelpa, Un manicomio tra i pali (Limina, pp. 116, euro 14,00. Prefazione di Marco Ansaldo), ritratto di ventuno numeri 1 che attraverso le loro prodezze e le loro bizzarrie, hanno lasciato un’impronta nella storia del calcio. La copertina del libro appare chiara: mostra un Bruce Grobbelaar (Liverpool) intento a fare il clown agli avversari. Un atteggiamento in sintonia con la sua filosofia di sport riassunta nel suo “i portieri esistono per far ridere la gente”. E messa in atto nella finale di Coppa dei Campioni all’Olimpico contro la Roma nel 1984, quando ai rigori si mise a fare il pagliaccio per deconcentrare gli avversari. Ricorsi della storia, il giochetto fu emulato 21 anni dopo da un altro numero 1 del Liverpool, Jerzy Dudek capace di stregare il Milan, sempre dagli undici metri.
Pagliacci a modo loro lo sono diventati anche il belga Jean Marie Pfaff (celebre portiere negli anni ’80) e il colombiano Renè Higuita, da protagonisti del campo ora alle prese coi reality. Higuita, in particolare, famoso per la folta chioma e l’abilità nel giocare coi piedi, dopo avere vinto un’edizione colombiana dell’Isola dei famosi, ha preso parte a un’altra trasmissione, Cambio estremo, sottoponendosi a ben cinque interventi di chirurgia plastica. Peggio ancora ha fatto il cileno Roberto Rojas, protagonista di una vicenda assurda. Qualificazioni per Italia ’90: nella partita decisiva col Brasile, al Maracanà, mette in scena un siparietto facendo finta di essere stato colpito da un bengala. La commedia viene smascherata da un filmato amatoriale, Rojas decide di vuotare il sacco: d’accordo con allenatore e capitano, tra i guanti aveva nascosto un bisturi col quale si era ferito volontariamente alla fronte. Rischiando di morire per emorragia. Risultato: radiato dal calcio, ancora oggi in fronte porta i segni di quel folle gesto.
Filippo Fabbri