Home Donne L’OCCUPAZIONE FEMMINILE: MANCANO 8.000 POSTI PER METTERSI IN PARI CON L’EUROPA

L’OCCUPAZIONE FEMMINILE: MANCANO 8.000 POSTI PER METTERSI IN PARI CON L’EUROPA

Un’altra fonte di disuguaglianza con gli uomini sono gli stipendi: sempre nel 2023 una lavoratrice guadagnava al giorno circa 71 euro contro i 95 dei lavoratori. Per migliorare le cose servono nuovi servizi, soprattutto per le neo mammee mamme

Un paese in crisi demografica dovrebbe impiegare al massimo la sua forza lavoro, di maschi e femmine, disponibile. Perché questo avvenga ci vogliono posti di lavoro, ma anche servizi che consentano di conciliare lavoro e famiglia.

Donne che lavorano

A fine 2023 (i dati del 2024 non sono ancora noti), in provincia di Rimini, le 64.000 donne occupate coprivano il 44 per cento dei posti disponibili. Nell’anno 2000 non arrivavano al 39 per cento, mentre nel 2010 si erano fermate sotto la soglia del 43 per cento. Considerando che, complessivamente, nel periodo 2010-2023 l’occupazione totale è cresciuta di 8.000 unità, vuol dire che tre quarti dei nuovi lavori sono andati alle donne. Un esito che ha consentito di ridurre solo marginalmente la forbice tra il tasso di occupazione (quante persone lavorano ogni cento) maschile e femminile, scesa da 17 punti percentuali del 2010 a poco meno di 16 nel 2023. A questo ritmo di riduzione della differenza di genere, cioè una situazione con lo stesso tasso di occupazione uomo-donna, si potrà raggiungere tra circa ottant’anni. Praticamente allo scadere del 2100. Largo programma, verrebbe da dire. Questa la distanza di genere in provincia. Poi c’è n’è una seconda, tutta interna al campo del lavoro femminile emiliano-romagnolo.

A Rimini, per ogni cento donne in età per lavorare, nel 2023 hanno trovato un impiego in 57. Numero che nelle vicine di Forlì-Cesena e Ravenna sale rispettivamente a 65 e 63. Ma è innegabile che le migliori opportunità, grazie alla presenza dell’Università e di numerosi centri di ricerca, si trovano a Bologna, dove ottengono un impiego più di 69 donne su cento. Dodici punti sopra Rimini. Si può, a ragione, sostenere che il ritardo nella partecipazione delle donne al mondo del lavoro non è una particolarità di Rimini, ma è innegabile che in questa provincia è una condizione di svantaggio che si trascina da decenni.

Un ritardo strutturale, per niente temporaneo.

Con la conseguente perdita o sotto utilizzo di risorse umane e professionali importanti, a cominciare dalle tante donne che conseguono una laurea: solo nel 2023 le laureate sono state 1.161, contro 771 laureati. Quando poi il confronto, visto che oramai siamo una regione d’Europa, si fa con gli altri paesi le distanze si fanno veramente rilevanti: in Germania sono occupate 74 donne su cento, in Svezia 76 e in Olanda addirittura 79. Se solo questa provincia facesse suo l’obbiettivo di raggiungere il tasso di occupazione femminile medio europeo del 66 per cento, ci sarebbero più di otto punti da recuperare. Tradotto in numeri vuol dire che la provincia di Rimini dovrebbe creare opportunità d’impiego per altre 8.000 donne, che andrebbero ad aggiungersi alle 64.000 già occupate, portando il totale a 72.000 (che rappresenta esattamente il 66 per cento della popolazione femminile di 15-64 anni, oggi pari a 109 mila unità).

Se poi il riferimento diventa il tasso di occupazione femminile di Svezia e Norvegia, ma anche della Germania, i nuovi posti di lavoro per le donne da creare non dovrebbero essere meno di 15.000-20.000. L’Ocse, l’Organizzazione degli stati più sviluppati, stima che, un aumento dell’occupazione femminile e dell’istruzione potrebbe portare ad una crescita pro capite del Pil italiano del 3,5 per cento entro il 2050. Vale anche per Rimini.

Le retribuzioni femminili

C’è il lavoro, poi ci sono le retribuzioni, un’altra fonte di disuguaglianza con gli uomini. Nel complesso, nel 2023, in provincia di Rimini, una donna che lavora guadagna in media 71 euro al giorno e un uomo 95 euro. Un quarto in meno.

Distanza rimasta immutata dal 2019, l’anno prima del Covid. Con l’aggravante, per il reddito, del minor numero di giornate annue lavorate: 203 per le donne, 222 per gli uomini. Un mese in meno.

Ed anche nei settori come alloggio e ristorazione, istruzione, sanità e commercio dove le donne sono la stragrande maggioranza, le loro retribuzioni non raggiungo mai il livello degli uomini.

I servizi per l’infanzia

uomo nell’Agen La riduzione del gender gap (differenza uomo-donna) è anche inserita nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Che tutti, a parole, condividono, ma meno mettono in pratica. La riduzione della forbice uomo-donna in campo occupazionale può avvenire solo coniugando due azioni parallele: la creazione di buone opportunità di lavoro; la messa in campo di una sufficiente offerta di servizi per l’infanzia a tempo pieno (almeno fino alle 17 perché nessuna azienda chiude prima), in modo da non costringere le giovani mamme a dover scegliere tra lavoro e assistenza ai minori (le dimissioni presuntamente “volontarie” di donne in difficoltà a coniugare lavoro e attività di cura sono arrivate a circa quattrocento). Ed anche qui, senza negare i miglioramenti, c’è un deficit da recuperare, perché nel 2022 hanno potuto usufruire dei servizi comunali 27 bambini/e da 0 a 2 anni su cento in provincia di Rimini, 32 a Forlì-Cesena, 34 a Ravenna, 38 a Bologna e 33 a Modena (BES 2024). Nel frattempo l’obiettivo europeo di posti nei servizi per l’infanzia per bimbi/e fino a due anni, prima fissato al 33 ogni cento, è stato spostato al 45 ogni cento, da raggiungere entro il 2050. Obiettivi che tre province dell’Emilia-Romagna hanno già raggiunto e superato: Ravenna 49 posti ogni 100 bimbi, Bologna e Ferrara 48 posti (Openpolis). Gli altri ci stanno lavorando e va dato atto che gli utenti degli asili nido, dal 2019 al 2022, sono saliti da 592 a 805 nel comune di Rimini, da 166 a 208 a Riccione, da 68 a 71 a Cattolica e da 80 a 105 a Bellaria-Igea Marina. Situazione migliorata, ma non basta per consentire a tante donne di poter lavorare con tranquillità.