Se c’è un luogo di perdizione a Rimini, questo è sicuramente il teatro Galli. No, non mi riferisco al maxiposter con il sasso attaccato alla nota parte del corpo maschile messo in bella mostra la scorsa estate, che pur di non sentirci ripetere per la millesima volta che non era volgarità ma arte, abbiamo accondisceso a riconoscerla come tale. Non mi riferisco alla serata con le drag queen ospitata per l’ultimo giorno di carnevale, che magari voleva creare una nuova provocazione stile Cattelan e invece si è spenta subito come un fiammifero, che in fondo le Sorelle Bandiera in tv c’erano già quaranta anni fa. Mi riferisco a quelle aperture realizzate nelle recinzioni del cantiere per permettere a tutti di sbirciare dentro, a partire dai pensionati con le mani dietro la schiena ma anche turisti e semplici cittadini. E nei cantieri di Rimini è stata adottata la caratteristica modalità delle aperture a forma di occhiali, con un senso di sguardo indiscreto e di voyeurismo che rende intrigante l’esperienza.
Un guardare che diventa spiare: un po’ il binocolo di La finestra sul cortile di Hitchcock, un po’ il buco della serratura delle commedie pecorecce all’italiana degli anni ’70. Per fortuna a Rimini, nonostante ogni tanto qualcuno riproponga l’idea, non si è mai seriamente presa in considerazione l’idea di creare quartieri a luci rosse.
Però ci siamo inventati il Pigalle degli umarell.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini