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Liturgia della Parola, ovvero la prima mensa

Tra pochi giorni saremo incollati alla tv e sugli smartphone per vedere aprirsi la tenda della loggia di San Pietro: il cardinal Tauran darà l’attesissimo annuncio e dopo le parole «Habemus papam» calerà sulla Piazza e sul mondo un silenzio assordante. Saremo tutti con il fiato sospeso per tema di perdere non dico una sillaba, ma perfino una pausa. Telecamere, occhi e orecchie puntati, appesi, incollati alle labbra del cardinale protodiacono. Una parola che nessuno, a ogni costo, vorrebbe perdere.

È ciò che dovrebbe accadere ogni domenica terminati i Riti iniziali della Messa, il cui scopo è appunto quello di preparare i fedeli ad ascoltare non una notizia tanto attesa, ma l’unica Buona Notizia (= Vangelo, dal greco eu = buon e anghélion = notizia, annuncio); non una parola umana, ma la Parola; non un uomo che parla, ma Dio stesso: «Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo» (Ordo generale Messale Romano, 29; Sacrosactum Concilium, 33). Egli, infatti, è presente nell’Eucaristia non solo nel sacerdote, nell’assemblea e nelle specie eucaristiche, ma anche «nella sua parola, giacché – non è superfluo ripeterlo – è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura» (SC, 7). Basterebbe questo per portare la mano sulla bocca e sbarrare gli occhi. Lo avevano capito molto bene gli ebrei, quando nell’accogliere la rivelazione dei 10 Comandamenti dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo» (Es 20,19). Lo aveva capito molto bene anche S. Agostino, quando in una omelia disse: «La bocca di Cristo è il Vangelo. Regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra» (Sermo, 85). Oggi Dio non è muto: ogni domenica imbandisce la Mensa della sua Parola. Nella Scrittura, Cristo, nella potenza dello Spirito Santo, è vivo, presente e operante, perché attualizza, “oggi”, per te, per noi, ciò che in essa si narra. Quando Dio parla, fa: «E Dio disse… così fu» (Gn 1), e così “oggi” fa misericordia, oggi guarisce, oggi perdona, oggi libera, perché «come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, averla fecondata e fatta germogliare, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10).

Quando la Scrittura è proclamata, quella parola scritta, fissata sulla carta, immobilizzata, morta, acquista vita, la capacità di trapassare dall’orecchio al cuore, dalla carne allo spirito e rafforzare la fede, spingere alla conversione, infiammare la carità ed edificare la Chiesa (Dei Verbum, 21; Catechismo Chiesa Cattolica, 1155; Ordinamento delle Letture della Messa, 4-7.44.47): nella proclamazione lo scritto diventa Scrittura e la voce Parola. Per questo è assolutamente importante leggere bene, con voce alta, chiara e col tono giusto; allo stesso modo è importante ascoltare Dio che parla e non leggere per conto proprio sul foglietto, magari anticipando il lettore! Ce lo insegna ancora il popolo ebraico quando lo scriba Esdra lesse a tutto il popolo radunato il libro della Legge (Torah): non è possibile comprendere questa prima Mensa senza leggere questo brano (Ne 8).

Nella Liturgia della Parola, Dio però non fa un monologo, ma «entra in conversazione con i suoi figli» (DV, 21), per cui questa Liturgia ha una struttura dialogica: «nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale. Il popolo fa propria questa Parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero» (OGMR, 55). Da questa struttura dialogica acquistano significato le due parti che compongono questa Liturgia: la prima e principale, formata dalle letture, dal salmo e dal Vangelo, culmine della Scrittura, che non possono essere accolti se non con la fede e nel silenzio; la seconda, che è lo sviluppo della prima, costituita dall’omelia, dalla professione di fede (il Credo) e dalla preghiera universale o dei fedeli (OGMR, 55).

È facile comprendere che nella Liturgia della Parola l’uomo s’inserisce nell’agire salvifico di Dio e non “addomestica” la Parola alle proprie esigenze; in altre parole, è l’uomo che entra nella storia che Dio sta facendo con lui (vocazione e missione) e non viceversa.
È quindi importante che siano valorizzati anche i segni della Parola di Dio, perché essa sia anche, in qualche modo, “palpabile”, “visibile”, “vicina”: il libro della Parola (lezionario ed evangeliario), la venerazione di cui è fatta oggetto (processione, incenso, candele), il luogo da cui viene annunziata (ambone), la sua proclamazione udibile e comprensibile, l’omelia del sacerdote che ne prolunga la proclamazione, le risposte dell’assemblea (alleluia, salmi) (CCC 1154).

Terminiamo con la consueta applicazione alla vita e oggi vorrei farla con una simpatica vignetta che ho trovato affissa nell’atrio di una chiesa: «Dio parla in tanti modi. Ma di sicuro non ti chiamerà mai al telefonino…».

Elisabetta Casadei

* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).