Una sorprendente scoperta in Archivio di Stato
Già dal 1951 un altro ingegnere bolognese aveva elaborato il progetto di un’isola artificiale al largo di Rimini
Negli ultimi anni, grazie soprattutto al film diffuso da Netflix nel dicembre 2020, è tornata in auge prepotentemente la vicenda dell’Isola delle Rose,attribuiti alla sua figura. Grande è stato, quindi, lo stupore nello scoprire in Archivio di Stato, grazie alla collaborazione dell’amico Daniele Celli, un carteggio l’infrastruttura marittima privata romagnola che, nel 1968, volle farsi Stato indipendente lottando strenuamente e idealmente contro tutto e tutti (secondo una labile interpretazione storica contemporanea). Parallelamente al progressivo consolidamento della popolarità dell’iniziativa, la cui fama è direttamente proporzionale al numero degli aspetti più oscuri della vicenda mai storicamente approfonditi, la biografia del suo «inventore», l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, si è espansa in una vera e propria agiografia, grazie al florilegio di aggettivi libertari, utopistici, visionari e, soprattutto, innovatori relativo a un progetto omologo, apparentemente coevo a quello elaborato da Rosa e addirittura redatto da un altro ingegnere bolognese, Cherubino Vandini: una mera coincidenza di due fatti oppure, come avrebbe detto Agatha Christie di fronte a ben tre evidenze oggettive, una vera e propria prova di ispirazione reciproca, per usare un eufemismo?
Tale sorprendente interrogativo, secondo solo all’entusiasmo per questa curiosa scoperta, appare ulteriormente rafforzato scorrendo i documenti conservati. Nella prima missiva dedicata alla presentazione del progetto, ad esempio, inviata dall’ingegner Vandini al Sindaco di Rimini il 12 dicembre 1958, viene evidenziato esplicitamente che «lo studio [per un’isola artificiale] è stato da me iniziato fin dal 1951», quindi in sensibile anticipo rispetto a quello elaborato da Giorgio Rosa ufficialmente tra il 1958 e il 1959 (la società S.P.I.C., creata ad hoc, verrà fondata nel 1960); nella stessa comunicazione, al punto 2, il Vandini segnala al Comune di essersi affidato per la progettazione a «3 ingegneri specialisti e un ingegnere architetto, tutti di notevole rilievo», presumibilmente suoi concittadini. Chi fossero i professionisti coinvolti dal Vandini e quanto si fosse diffusa nell’ambiente bolognese la “voce” della fantomatica isola artificiale romagnola oggi è impossibile saperlo, non essendo menzionati esplicitamente nei documenti ed essendo gli stessi promotori scomparsi da tempo.
Dalla medesima prima comunicazione, comunque, si evince che l’isola riminese si sarebbe chiamata «Ariminum» e «ARIM» la società anonima che avrebbe dovuto occuparsi della sua strutturazione, costruzione e gestione; circa 24 milioni di lire saranno necessari per la sola progettazione, alla quale Vandini auspica partecipi il Comune per la metà (12 milioni) e garantendo all’amministrazione il rimborso totale della quota, grazie ai proventi incassati dal secondo anno di attività. Per evitare posizioni preminenti di singoli o gruppi in seno alla società, Vandini prevede la cessione di quote in piccole carature.
Mostrando un’incredibile lungimiranza strategica e commerciale, nel documento viene esplicitato che «l’isola costituirà un centro provvisto di tutte le comodità moderne e cioè alloggi, diurni, negozi, ristoranti, posta, telefono, banca, chiesa, astanteria ecc, in modo da servire come punto di attrazione anche per l’approdo di natanti provenienti da lontano»; inoltre «sarà un centro di nuove iniziative sportive, di feste, gare, concorsi, spettacoli acquatici, mostre, attrazioni varie, congressi, sede di associazioni e sarà con ciò notevolmente ampliata la durata della stagione turistica che potrà anche estendersi all’intero anno solare». Un primo, palese auspicio all’anelata «destagionalizzazione» della proposta balneare riminese, tanto cara agli operatori moderni.
Dal capitolato del progetto, presentato al Comune di Rimini nel gennaio 1959, scopriamo che il complesso previsto da Vandini era davvero articolato, innovatore e per molti versi futuristico, soprattutto contestualizzandolo, attraverso i servizi prospettati, nell’offerta turistica internazionale contemporanea. La piattaforma, eretta a 5 metri sopra il livello medio del mare e distante 800 metri dalla spiaggia antistante l’attuale piazzale Fellini, sarebbe stata in grado di sostenere tre piani; ai lati della “piazzetta” sospesa, 4 corpi di fabbricati, composti da 2 piani, avrebbero costituito la chiesa, i servizi e le attività commerciali; un fabbricato a 1 piano, con possibilità di elevazione per ulteriori 2 livelli, sarebbe stato adibito a bar-ristorante con due cucine; alcune strutture metalliche componibili sarebbero state destinate a stands e negozi; un fabbricato con ascensore ad alta capacità avrebbe costituito la stazione di arrivo della “funivia” (a tre piloni, alti 25 metri sul livello medio del mare) e il centro direzionale della piattaforma. Era prevista una spiaggia artificiale da 200 mq «composta di zattere con sabbia», trampolini per tuffi, scale per gli attracchi dei natanti di servizio (2 motoscafi e 1 barca) e una fognatura a 100 metri dalla struttura per gli scarichi «resistenti all’acqua di mare»; sono previste «gradinate smontabili per 3000 persone» e l’allestimento di uno «zoo acquatico». Ci sarebbero stati anche «un ponte levatoio» per agevolare il passaggio delle imbarcazioni, un tiro al piattello, un cinema e una banca; il collegamento con la terraferma sarebbe stato garantito, oltre che da imbarcazioni, da un eliporto. Costo complessivo dettagliato: lire 1.656.360.000.
La costruzione, secondo Vandini, avrebbe richiesto 20 mesi: ovviamente l’ideatore, nell’ultimo punto, auspica che l’eco internazionale creata dall’iniziativa possa agevolare ogni fase burocratica e amministrativa. Proprio al fine di generare curiosità nel pubblico e in eventuali finanziatori potenziali, nella primavera del 1959 viene diramato alle agenzie di stampa un comunicato che annuncia li progetto: la rivista «MonTur» («Il Mondo Turistico») pungola costantemente l’Amministrazione (senza peraltro ricevere riscontro, ma solo rimpalli tra Comune e Azienda di Soggiorno) affinché confermi la notizia e illustri nel dettaglio gli scopi dell’iniziativa. Lo stesso Vandini, il 18 giugno 1959, sollecita gli interlocutori pubblici segnalando che «diverse personalità influenti nel campo finanziario nazionale ed estero stanno interessandosi al fine di giungere a positive offerte»: si stratta dei medesimi soggetti che parteciperanno attivamente alla costituenda iniziativa parallela di Giorgio Rosa?
Dopo alcuni incontri e diverse missive esplorative, Vandini scrive nuovamente al Comune di Rimini confermando «che la spesa necessaria per la progettazione esecutiva e l’ottenimento della concessione si aggirerà sui 12 milioni» e specificando che «la prima spesa e la più urgente, quella che permetterà d’iniziare subito lo studio del progetto, è la prospezione del fondo marino e che consiste in un certo numero di sondaggi razionali e per una profondità fino a 20 metri».
Nello stesso documento, comprensivo di planimetria generale dell’infrastruttura, viene ipotizzato l’utilizzo di vaporetti per il servizio di trasporto tra la piattaforma e tre approdi sull’antistante costa.
Per pianificare l’ipotetica affluenza e il relativo profitto, il progettista chiede all’Amministrazione una tabella analitica con le presenze turistiche in Riviera: a seguito del ritardo nel riscontro, Vandini risponde nel febbraio 1959 che si è già organizzato in proprio, traendo indicazioni «dai giornali» e considerando, quindi, come indicatore «una terza parte dei visitatori di San Marino del 1958, pari a 1.600.000 persone». Il profitto previsto, per il primo anno di attività, è così ipotizzato in lire 156.900.000.
Da quel momento lo scambio formale tra Vandini e gli enti locali si fa più rarefatto, sino a interrompersi definitivamente a fine 1959; l’ultimo documento presente nel faldone è una lettera, datata 30 aprile 1960, in cui l’avvocato palermitano Salvatore Migliorino, «proprietario di un isolotto» sulla costa siciliana, dopo aver saputo dell’iniziativa dall’«Osservatore Romano» chiede al Comune di Rimini un abboccamento con il professionista bolognese. La riflessione finale si rivela, purtroppo, inevitabile: l’Isola delle Rose è stata una sorta di plagio “autarchico e anarchico” – mai pienamente esplicitato – per realizzare in modo subordinato il progetto concepito da Cherubino Vandini, aggirando l’evidente immobilismo degli operatori e dell’Amministrazione e i gangli burocratici? Vandini e Rosa hanno condiviso uno o più dettagli del progetto «ARIM»? Probabilmente non lo sapremo mai, ma i dubbi sull’effettiva originalità e unicità dell’iniziativa di Giorgio Rosa oggi appaiono molto più ampi e sfumati, incrementando, nel contempo, i tanti interrogativi rimasti a oggi comunque insoluti.
Nicola Gambetti
(da Ariminum, Gennaio-Febbraio 2023)