Per la stagione d’opera di Bolzano un nuovo allestimento del Satyricon di Maderna con la direzione di Tonino Battista
BOLZANO, 14 febbraio 2025 – È stato uno dei grandi del novecento. Lo si può affermare con maggior consapevolezza adesso rispetto a qualche anno fa. Rivedendo in scena le opere di Bruno Maderna, o riascoltandone i brani strumentali, ci si rende conto che non mostrano segni d’invecchiamento: circostanza sempre più rara fra i cosiddetti musicisti di avanguardia, anche se questa è una definizione che al compositore veneziano va decisamente stretta.

Casomai ce ne fosse bisogno, la conferma dell’attualità di Maderna viene dal nuovo allestimento di Satyricon, lavoro teatrale di significato quasi testamentario, messo in scena a Bolzano e Trento. Quest’‘opera aperta’ del 1973, che è anche l’anno della prematura scomparsa del compositore, non si limita ad accogliere le novità di quel periodo, come l’utilizzo dell’elettronica o il ricorso all’alea: con acuta intelligenza musicale vengono invece contaminate – in modo del tutto straniante e inevitabili ricadute umoristiche – con la grande tradizione operistica, assimilata da Maderna durante l’attività svolta come direttore d’orchestra.
Il nuovo allestimento di Satyricon è stato affidato all’esperto Tonino Battista: oltre a curare il montaggio dei brani musicali, il direttore ha realizzato anche le incisioni su nastro magnetico che – come spesso accade in Maderna – vanno a integrare gli strumenti tradizionali, creando suggestive dialettiche sonore. Del resto, questo work in progress (cui il compositore continuò a lavorare fino a poco prima di morire) è concepito, in anticipo sui tempi, per lasciare la massima libertà nella successione dei vari numeri musicali durante le esecuzioni. Magari alla ricerca di un’intesa con gli aspetti visivi.
Creando efficaci cortocircuiti tra presente e passato, il bello spettacolo di Manu Lalli – grazie ai costumi da lei stessa firmati, alle scene di Daniele Leone e alle luci di Gianni Mirenda – restituisce l’idea di decadenza e disfacimento veicolata dal libretto, tratto dal Satyricon di Petronio. L’impressione visiva è quella di un cabaret brechtiano, dove convergono reminiscenze della Roma imperiale accostate al settecento francese, evocatorio di un libertinaggio sinonimo di corruzione, e che finiscono per sconfinare in esplicite allusioni alla contemporaneità.
Molto accurato, poi, il lavoro registico sugli interpreti – compresi alcuni studenti di una scuola, coinvolti sia in palcoscenico sia dietro le quinte – trasformati tutti in ottimi attori. Per esprimersi mescolano lingue diverse (un latino infarcito di espressioni gergali, tedesco, inglese e pure francese), accuratamente calibrate da Maderna in corrispondenza dei diversi contenuti emotivi, mentre sul piano vocale devono passare dal canto intonato allo Sprechgesang. Figura centrale di questa società in decomposizione, dove tutto ruota attorno ai soldi, è Trimalchio, un uomo che si è fatto da sé. Lo interpreta l’incisivo tenore Marcello Nardis, in grado di arpeggiare con disinvoltura fra stili vocali diversi e capace d’imprimere al personaggio tratti ora grotteschi ora fatui. Versatile artista multidisciplinare, Costanza Savarese è stata molto duttile ed espressiva sia sul versante vocale che scenico nel disegnare i ruoli di Fortunata e Scintilla. Il tenore Joël O’Cangha, proveniente dal musical, ha configurato uno stralunato Habinnas, cui spetta l’intervento musicale più lungo di tutta l’opera: il sordido racconto della vicenda di una matrona affranta per la morte del marito. Vanno poi ricordati anche il mezzosoprano Eleonora Bordonaro (Quartilla), il soprano Patrizia Polia (Criside), i bassi Renzo Ran (Niceros) e David Ravignani (il filosofo Eumolpus), sempre molto precisi nei loro interventi.
Perfettamente assecondato dall’Orchestra Haydn a ranghi ridotti, con una ventina di elementi soltanto, Battista ne ha tratto sonorità nitide e precise, avendo cura di rendere ben riconoscibili le numerose citazioni di cui è ricca la partitura, in modo che ne apparisse ben evidente il significato parodistico, così come l’aveva concepito Maderna.
Molto suggestivo il finale, dove compare una bimba – la piccola Greta Sacco – che accarezza amorevolmente una pianticella destinata a crescere: da un lato un gesto di speranza verso il futuro e, dall’altro, la poetica rappresentazione simbolica di qualcosa che non si può comprare, come lo sguardo dei bambini. Che, per fortuna, non è sottoposto alla legge del denaro.
Giulia Vannoni