Miei carissimi fratelli e sorelle,
tempo addietro avevo in animo di inviarvi un messaggio per l’inizio della quaresima. Ma l’incalzare del Coronavirus mi ha fatto cambiare idea. Anziché scrivervi una lettera che inevitabilmente sarebbe risultata più lunga e quindi più noiosa, ho pensato che sarebbe stato meglio proporvi qualcosa di più breve e di più veloce, ogni settimana. Così, da fratello povero come voi, che cerca Gesù come voi. Con tutta la passione e la fatica di stargli dietro, ma anche con tutta la disponibilità e la gioia di scorgere nelle sorelle e nei fratelli di fede quei tratti del suo volto che ancora non trova in se stesso.
In questi giorni ho registrato vari segnali di gratitudine per aver adottato – in collaborazione con le Autorità civili e in comunione con gli altri Vescovi della regione – varie e motivate indicazioni cautelari in modo da prevenire nelle nostre comunità realistici pericoli di contagio, ma comunque di non chiudere le nostre chiese alla visita e alla supplica dei singoli fedeli. Questo bisogno di silenzio, nutrito da un acuto desiderio di preghiera mi ha stupito e commosso.
No, non vi ho riscontrato l’idea di un ricorso superstizioso ad una Divinità che in modo magico ci potrebbe e dovrebbe risolvere i problemi e mettere al riparo dai pericoli che corriamo, garantendoci una assicurazione sulla vita.
I cristiani hanno imparato dal Maestro di Nazaret. Il nostro Dio non è un fastidioso guastafeste. Né un capriccioso, implacabile fustigatore. Non è un padre-mostro. È un Padre-Papà, il nostro fedele Alleato, che ci ha mandato Gesù a salvarci, dal male più devastante: l’egoismo. Ma anche per liberarci dalla paura.
Ci ha mandato suo Figlio, il quale ha provato sulla sua pelle il brivido della madre di tutte le paure: la morte. Non se ne è lasciato paralizzare, ma l’ha superata con lo slancio di una estrema fiducia nell’amore del Padre-Abbà. Rileggiamo il drammatico racconto della Lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il pieno abbandono a lui, venne esaudito”. Venne esaudito, non nel senso che fu liberato dal dolore, ma che fu liberato nel dolore. Perché a una violenza totalmente ingiustificata rispose con un amore totalmente incondizionato. Morì, certo, ma morì amando e per-donando. Per questo il Padre lo ha risuscitato, per lasciarlo sempre con noi, come lui stesso ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Sì, noi crediamo che Gesù non si è ancora stancato di rimanere con noi, perfino nei giorni più bui e più difficili. Non si è mai chiuso alle necessità e alle sofferenze dei poveri, dei malati e degli esclusi. È vero: “non si vergogna di chiamarci fratelli”, e continua a passare il suo cielo sulla nostra terra.
Come ci aiuta allora Gesù in questi giorni della paura? Con le due ali che ci permettono non tanto di non sentire la paura, ma ci consentono di non acconsentire alla paura. Sono le ali della ragione e della fede, che si librano all’unisono. La ragione ci aiuta a non essere né superficiali né allarmisti. E la fede ci aiuta a sperare. Sempre. Non perché le nostre cose vanno bene. Ma perché il Padre non ha mai smesso né mai smetterà di volerci bene. Ascoltiamo san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”.
Miei carissimi, ma non vi pare che se noi cristiani usassimo un po’ di più queste due ali, il mondo andrebbe meglio?
Vi saluto. Vostro
+ Francesco Lambiasi
Nell’immagine: la guarigione della suocera di Pietro di John Bridges, vescovo inglese del diciannovesimo secolo