Gli attuali equilibri geopolitici, lo stato di salute dell’Europa alla luce della guerra alle sue porte. Ma anche Rimini, il suo presente e il suo futuro. Sono i temi trattati da Romano Prodi, in visita a Rimini pochi giorni fa. L’ex premier e Presidente della Commissione europea, ospite del Teatro degli Atti per presentare il nuovo libro Le immagini raccontano l’Europa, non ha nascosto una certa preoccupazione per il ruolo che l’UE sta giocando in questa fase storica, relegata a un ruolo politicamente sempre più marginale.
Presidente, Rimini sta cambiando volto, non è più il ‘divertimentificio’ di 40 anni fa, ma non vuole essere solo mare e spiaggia. Come vede in prospettiva questa città?
“La marina e il suo gradimento restano il cuore della Città. La spiaggia, più il nuovo lungomare e la depurazione delle acque, insieme alle attrezzature per il tempo libero, fanno godere di più il mare e, di conseguenza, la città. Trovo una Rimini molto più raffinata, con la sua storia bimillenaria. Ho passeggiato per le vie del centro, con il Sindaco precedente e con quello nuovo. In genere uno esclude l’altro; mi ha fatto piacere vedere che ci sia a Rimini anche questa anomalia”.
Rimini nei prossimi anni si candiderà capitale italiana della cultura. Un obiettivo raggiungibile?
“Naturalmente avrà tanti concorrenti. Ma sul fatto che abbia le carte in regola non c’è alcun dubbio. Certamente si è messa in pari con i compiti”.
Passiamo all’attualità. Papa Francesco sarebbe pronto ad andare fino a Mosca a parlare con Putin. Ma Putin vuole davvero la pace?
“Ormai Putin è imperscrutabile. Tutte le previsioni sono state sbagliate. Solo la CIA aveva previsto che avrebbe iniziato la guerra. Tutti gli altri pensavano che si sarebbe, prima o poi, fermato. Penso che Putin abbia commesso un errore colossale”.
La gestione del conflitto da parte dell’Europa: oltre all’invio di armi all’Ucraina, si punta molto sulle sanzioni alla Russia. Tra queste, l’ipotesi di uno stop totale alle importazioni di petrolio russo. È una mossa che premia o che può avere un “effetto boomerang”? Come se ne esce?
La pace si ottiene sempre con un compromesso, ma non si vedono progetti di concreta fattibilità. Pesa tanto l’assenza politica dell’UE, sempre più al margine.
“Il tema dell’embargo è abbastanza complesso, perché è una mossa che danneggia chi lo subisce, ma anche chi lo impone. In questo caso, parliamo del maggior fornitore di gas e petrolio nel mondo, e la sola minaccia di uno stop totale al petrolio russo ne sta facendo crescere il prezzo. Attenzione, dunque, a mantenere un equilibrio: dobbiamo certamente agire anche sull’energia, per renderci indipendenti, ma non possiamo commettere l’errore di danneggiare noi e finanziare ancora di più la Russia”.
Nel frattempo la guerra prosegue. Come se ne viene fuori? E teme un allargamento del conflitto?
“No, la Russia è troppo debole per un conflitto su scala più ampia e, anzi, credo che Putin abbia deciso di agire in questo modo sulla base di informazioni errate, che hanno portato a sottovalutare la situazione. Come se ne esce? La pace è sempre un compromesso. O si aspetta che uno dei due contendenti venga totalmente distrutto oppure è necessario un compromesso. Per ora non si vede nessun progetto che abbia una concreta fattibilità”.
Lei ha detto che la pace ci sarà solo quando Cina e Stati Uniti si metteranno d’accordo.
“L’ho pensato fin dal primo giorno. Il mondo, oggi, si è concentrato attorno a due giganti, Stati Uniti e Cina.
La prima è potenza stabilizzata, leader nella tecnologia, nel reddito pro capite e, ovviamente, nella difesa (il 40% delle spese militari globali è americano); la seconda, la Cina, è potenza ascendente: un miliardo e 400 milioni di persone (il 20% dell’umanità intera) e una crescita economica unica al mondo. Per intenderci, oggi la Cina cresce di una Russia all’anno.
Questo ha cambiato la faccia e gli equilibri della Terra: se da una parte, infatti, gli Stati Uniti hanno surplus energetico e materie prime in abbondanza, dall’altra la Cina ha bisogno di tutto, di materie prime ed energia, persostenere il proprio grande sviluppo. Una situazione che la porta ad avere una politica estera di ‘necessaria aggressività’, rivolgendosi soprattutto verso l’Africa e l’America Latina. Guardando all’attuale conflitto in Ucraina, dunque, la pace può passare solo da ciò che faranno queste due grandi potenze, soprattutto considerando che gli Stati Uniti, con la Nato, guidano l’Europa e la Cina ha il potere di condizionare la Russia”.
La Cina come si sta muovendo in questa fase?
“La Cina si è dimostrata ‘finestrista’, seguendo letteralmente il manuale dell’Arte della Guerra (scritto, non a caso, in Cina): ‘La guerra la vince chi non la fa’. Un atteggiamento riassunto in modo emblematico dalla frase contraddittoria del presidente cinese Xi Jinping: ‘Noi siamo profondi e sinceri amici della Russia e i confini non si toccano’. Significa che stanno a guardare”.
Zelensky, pur di arrivare a una trattativa, avrebbe accettato l’attuale status della Crimea, ma il segretario della Nato ha posto come condizione la restituzione della Crimea all’Ucraina. Questa non è un’ingerenza?
“Conferma che il potere effettivo non è nelle mani dell’Ucraina, ma degli Stati Uniti, come del resto non è completamente nelle mani della Russia”.
Lei parla di questa come di una guerra mondiale… “È certamente una guerra locale, ma anche un pezzo di guerra mondiale, come dice il Papa, perché sta danneggiando tutti”.
Quanto pesa la totale assenza politica dell’Europa? Perché l’Europa non gioca più un ruolo centrale?
“L’Europa è disunita e, per questo, presenta una enorme forza economica ma, allo stesso tempo, una forza politica inesistente. E questa assenza politica pesa molto, moltissimo. Perché continuando così non solo non contiamo nulla, ma verremo sbeffeggiati. È una guerra che ci tocca così da vicino. Dal punto di vista militare abbiamo giustamente dato il nostro contributo, ma dal punto di vista politico i nostri leader non sono riusciti neanche a sillabare. Va sottolineato, però, che l’Europa è stata messa al margine anche dagli stessi Stati Uniti”.
In che senso?
“L’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa è oggi di politica studiata, ma non più di vicinanza naturale com’era in passato. Per intenderci: con la famiglia Bush, anche se politicamente non eravamo dalla stessa parte, c’era un rapporto come tra europei; così anche con Clinton, che era ‘diventato europeo’ studiando a Oxford. Il cambiamento avvenne con Obama, con il quale l’Europa divenne semplicemente un luogo del mondo, Copenaghen o Singapore erano la stessa cosa.
E, gradualmente, l’attenzione ha cominciato a spostarsi verso la Cina, potenza in crescita. Arrivando, poi, alla storia recente: con Trump l’Europa è diventata addirittura una concorrente e oggi, con Biden, si è tornati a un’alleanza politica (con l’America decidente), ma è rimasta una concorrenza in campo economico molto forte. Possiamo definire così l’attuale atteggiamento americano verso l’Europa: gli USA vogliono che l’Europa nuoti, ma che ogni quattro bracciate beva un po’ d’acqua”.