Lettera dopo la Visita pastorale alle Zone pastorali
Rimini, 10 maggio 2014
Ai Sacerdoti, ai Diaconi,
alle Persone Consacrate, ai Fedeli Laici,
Ai Membri del Consiglio Pastorale
e della Consulta delle Aggregazioni Laicali
Carissimi tutti,
giusto un mese fa, lo scorso 10 aprile, ho concluso la visita alle 25 zone pastorali, nelle quali è stato suddiviso il territorio della Diocesi: un impegno assorbente, ma più ancora appassionante e sempre coinvolgente, che si è protratto per oltre due mesi interi. Per me è stato motivo per ringraziare mille e una volta il Signore per quel “fiume carsico” di bene, che scorre nel sottosuolo delle nostre comunità, ma che di tanto in tanto, come in questa occasione, affiora in superficie, esuberante e magnifico. Mi avete detto che anche per voi questa rapida visita pastorale è stata un momento prezioso di conoscenza, di comunione, di fecondo dialogo e incoraggiamento reciproco. Ogni volta una esperienza nuova, perché ogni comunità pastorale ha una storia singolare e un volto inconfondibile.
Ora, non volendo lasciar passare troppo tempo, mi premuro di scrivervi per isolare alcuni fotogrammi di interesse comune e condividerli con voi.
Un primo tratto della visita è stato l’incontro personale con tutti i fratelli presbiteri, e, dove possibile, anche con i diaconi e i religiosi. Praticamente mi è stata data la felice opportunità di incontrare uno ad uno tutti voi sacerdoti, come avvenne all’inizio del mio ministero episcopale qui in diocesi. Abbiamo verificato che non è stata una piatta sequenza di incontri formali; piuttosto abbiamo imbastito insieme una fitta rete di dialoghi, schietti e amichevoli, che ancora una volta mi hanno fatto toccare con mano il vostro amore tenace e generoso al Signore Gesù, alla sua Chiesa, alle vostre comunità. Un amore giustamente ricambiato dalla stima, dalla gratitudine espansiva e dall’affetto sincero e sentito di tanti fedeli. Anche il vedere voi preti assieme nell’assemblea serale; il venire a sapere che avete tra voi, pur con modalità e frequenze diverse, momenti comuni di preghiera, di confronto pastorale, di cordiale convivialità, è stato per tutti i partecipanti motivo di limpida letizia. Dopo la celebrazione dei vespri e una breve cena fraterna – occasione per continuare il dialogo anche con i diaconi presenti – si è svolta l’assemblea, in alcuni casi limitata ai consigli parrocchiali, in altri casi estesa ad un numero più vasto di operatori pastorali e di fedeli, che hanno accolto l’invito.
A questo punto mi è praticamente impossibile riportare la densità del folto faldone di esperienze, iniziative, proposte emerse. Ma al di là e prima ancora, tutti possiamo riconoscere di avere sperimentato la presenza pacificante e promettente del nostro dolcissimo Maestro, che puntualmente ci faceva concludere: “Ci ha riuniti tutti insieme Cristo Amore”. Inoltre il grande angolare della Chiesa “comunione e missione” ci ha permesso di mettere nuovamente a fuoco l’alto orizzonte del regno di Dio e il campo lungo della storia della salvezza. In questa cornice abbiamo inquadrato i piccoli fotogrammi della nostra vicenda. Abbiamo avuto la fortuna di conoscerci un po’ di più tra parrocchie vicine, condividendo – senza lasciarci appannare la vista da pensieri negativi – il bene degli uni e degli altri. Abbiamo sperimentato un intenso affiatamento di cuori e di menti che spesso ci ha felicemente sorpresi. Abbiamo vissuto la gioia di una preghiera non rituale, mettendoci in ascolto della parola di Dio. Ci siamo scambiati nella verità il dono e l’abbraccio della pace… Insomma tutto quanto abbiamo pensato, detto e vissuto ci ha dato la consapevolezza tangibile di aver mosso passi – piccoli ma concreti – sulla via della comunione, nella direzione del cenacolo: “Che siano una sola cosa, perché il mondo creda”. Certo, non ci siamo montati la testa; la strada è ancora lunga e sappiamo di dover recuperare molto terreno. Eppure più volte abbiamo constatato che, se ci fossimo incontrati anche solo per quel poco (o molto?!) che insieme abbiamo condiviso, ne sarebbe valsa la pena…
Ora vorrei provare a raccogliere il succo della visita alle 25 comunità pastorali. Mi faccio aiutare dalla Evangelii Gaudium (EG) di papa Francesco: la vorrei leggere quasi in contrappunto con l’esperienza vissuta con voi nei mesi precedenti. Provo a concentrare il tutto nei seguenti passaggi.
1. Non lasciamoci rubare il piacere di essere popolo (EG 268). Noi non siamo una organizzazione come tante, né una università di scienze religiose e neanche una organizzazione di beneficenza: siamo un organismo vivente; costituiamo il popolo di Dio nel riquadro di terra che abitiamo e nel frammento di storia che stiamo attraversando. Formiamo il corpo di Gesù presente qui e ora, un corpo che gli altri hanno il diritto di vedere, di avvicinare, di toccare. Non ci siamo convocati tra di noi per formare un club di “tifosi del Nazareno”: noi siamo i chiamati dal Signore, che ha bisogno dei nostri occhi per vedere i poveri e i sofferenti accanto a noi; ha bisogno delle nostre mani per lavare loro i piedi e fasciare le loro piaghe; ha bisogno della nostra bocca per annunciare loro l’amore tenerissimo del Padre-Abbà. Non vi sembra che non appena la soglia dell’autocoscienza di essere popolo di Dio si abbassa, fatalmente si alza l’asticella della voglia di diventare una élite di tizi chic & snob, un’azienda a reddito, una nicchia di gente untuosa e presuntuosa, che cade compulsivamente nel peccato ricorrente del “si dovrebbe fare così” o si sdraia pigramente nel comodo alibi del “si è sempre fatto così” (EG 96; 33)? Ecco, dobbiamo praticare concreti e ripetuti esercizi di conversione per allenarci a vivere quella conversione pastorale che papa Francesco ci domanda con parole che non si possono né recintare né scolorire (EG 25ss; 76ss). Dobbiamo riconoscerlo: “l’appello alla revisione e al rinnovamento delle (nostre) parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione” (EG 28). Dobbiamo anche ammettere che la fondamentale e imprescindibile “opzione per i poveri” ci vede ancora in grande debito con loro. E’ significativo notare che è stata proprio la Caritas ad anticipare l’impegno tra parrocchie vicine per dare risposte più adeguate alle tante situazioni di disagio e di bisogno, che le singole comunità da sole non avrebbero potuto assicurare. Ma domandiamoci: possiamo onestamente dire che “tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri” (EG 198)?
2. Non lasciamoci rubare la grinta nell’affrontare le sfide attuali (EG 109). In qualche visita ho citato quel passo di san Paolo dove è scritto: “Abbiamo un tesoro in vasi di creta… Siamo tribolati, ma non schiacciati, sconvolti ma non disperati, colpiti ma non uccisi” (2Cor 4,7ss). Le sfide ci stanno per essere attraversate, non per venire diplomaticamente bypassate, né per lasciarcene travolgere. Le sfide vanno appunto… “sfidate” con fiducia e tenacia, con grinta, addirittura con allegria! Non meravigliatevi di queste parole: non sono mie, ma di papa Francesco! Provare per credere: vedi EG 277;109. In particolare, una sfida che ci riguarda tutti da vicino è la situazione del nostro presbiterio. Se nei prossimi anni possiamo sperare in nuove ordinazioni è perché il nostro seminario diocesano è ancora una comunità vitale: l’impegno per sostenerlo e per promuovere una efficace pastorale vocazionale deve continuare ad essere responsabilità generosa e condivisa da tutto il popolo di Dio. Rimane comunque prevedibile che il numero dei sacerdoti “attivi” continuerà a calare, e che nei prossimi anni il saldo tra decessi o inabilità da una parte e nuove ordinazioni dall’altra sarà purtroppo sempre più in rosso. Pertanto non sarà possibile garantire come in passato la presenza del sacerdote in ogni comunità. Né ci potremo più permettere di assicurare la messa domenicale in orari diversi e in tutte le chiese. Ma anche questa difficoltà, se vissuta con un briciolo di fede nella guida rassicurante del buon Pastore, potrà tramutarsi in vantaggiosa opportunità. Un domani (che è già cominciato!) ci saranno sempre meno preti, ma se ci saranno più cristiani veri, più comunità vive, allora l’annuncio del Vangelo continuerà a percorrere le strade di questo nostro tempo inquieto eppure assetato di Dio. Pertanto dovremo portare avanti una ridistribuzione del clero, immaginando la presenza sul territorio di un presbiterio, almeno zonale, dove le varie capacità e inclinazioni non vengono azzerate, ma esaltate. Sarà così possibile realizzare anche una valorizzazione delle competenze, un risparmio delle risorse e un riequilibrio dei carichi di lavoro. Per questo il Signore domanda uno scatto di generosità a tutti: ai pastori, nel formare tra di loro delle “fraternità” che si prendano insieme cura di un territorio più ampio; ai fedeli, nel convergere, ad esempio, su un numero più ridotto di messe, ma che siano più curate e partecipate (“meno messe e più messa”!). Di conseguenza dovremo continuare a mettere in atto puntuali ed efficaci esercizi di formazione. In particolare occorre curare una formazione ampia e disinteressata del laicato, non indirizzata subito a un incarico pastorale e/o missionario, ma alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana. Su questo sfondo siamo chiamati a promuovere anche una capacità di servizio ecclesiale, sia in forma occasionale e diffusa sia con impegno a tempo pieno o parziale. In questa prospettiva è importante investire energie nella formazione dei catechisti battesimali, della iniziazione cristiana dei bambini e degli adulti, degli educatori dei gruppi giovanili, di laici impegnati nella cultura, nella sanità, nel servizio della carità, nell’ambito familiare, sociale e politico. Ritengo che l’Istituto di Scienze Religiose “A. Marvelli” e la Scuola di Teologia Pastorale offrano itinerari formativi di qualità, che meritano un’accoglienza più disponibile e una più conveniente valorizzazione.
3. Non lasciamoci rubare la comunità (EG n.92). Sia all’interno del presbiterio, sia nelle varie articolazioni pastorali (vicariati e zone pastorali) come pure all’interno delle diverse comunità parrocchiali, dobbiamo dire un no deciso all’accidia egoista, alla guerra tra di noi; un no al pessimismo sterile, alla mondanità spirituale, alla cura ostentata della liturgia. Per dire sì alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo, all’amore fraterno, alla corresponsabilità nella Chiesa con i laici e, in particolare, con le donne (cfr EG 76-109).”Una sfida importante è mostrare che la soluzione (dei problemi pastorali) non consisterà mai nel fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci impegni con gli altri” (EG 91). Solo una carità fraterna senza se e senza ma ci permetterà di sfuggire alla trappola di due derive scivolose, entrambe fondate sull’egoismo: quella di un centralismo autoritario, in cui uno “deve per forza” essere tutto nella comunità, e quella di un individualismo radicale, in cui ognuno “vuole per forza” essere tutto. Solo tutti possono essere tutto, e così nella comunità cristiana si eviterà sia di congelare per un individualismo estremo, sia di soffocare per un estremo centralismo. Concretamente dovremo continuare a fare intensi e concreti esercizi di comunione. In tutte le assemblee è stato chiaramente affermato che le “zone pastorali”, la cosiddetta “pastorale integrata” – meglio, le comunità e le unità pastorali – non vogliono massificare le parrocchie, specialmente quelle più piccole, ma anzi valorizzarle, in una logica che sia appunto integrativa, e non puramente aggregativa.
4. Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario (EG 80). Non dobbiamo mai dimenticare che il fine della Chiesa non è la Chiesa, ma il regno di Dio, e perciò la missione.Il papa impegna tutta la Chiesa – quindi anche la nostra Chiesa riminese – alla “riforma della Chiesa in uscita missionaria” (EG 17a). Per questo ci pungola a declinare cinque verbi: primerear (prendere l’iniziativa), coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare (EG 24). Tutti hanno il diritto di ascoltare l’annuncio del Vangelo! “Usciamo – ci sfida Francesco di Roma, con paziente ostinazione – usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo!” (EG 49). Qui dobbiamo riconoscere che siamo ancora molto indietro. Siamo troppo chiusi e rannicchiati nei nostri recinti; siamo rimasti a “fare i bigodini” alle dieci pecore ancora nell’ovile e facciamo poco, troppo poco! per andare a ritrovare le novanta smarrite. Ormai basta parlare di missione! è urgente realizzarla, praticando audaci e creativi esercizi di missione. In diversi incontri è venuto spontaneo il riferimento alla realtà che i paesi di missione ad gentes (come in Africa) vivono già da tempo: il missionario visita periodicamente le singole comunità, ma ognuna di esse ha dei laici formati che curano la catechesi, guidano la preghiera, animano e tengono unita la comunità. Il vero problema allora non è quanti sono i cristiani, ma quanto noi siamo cristiani. Spesso, venendo da voi, mi sono servito di questa immagine, ispirata alla veglia pasquale: cento candele spente non ne accendono nessuna; ma dieci candele accese ne accendono cento e più di cento. Ritengo che in questa direzione vada la missione straordinaria che sto per indire nella veglia della prossima Pentecoste (a Rimini, 7 giugno sera p.v.), il cui frutto, se invocato dal Signore con fiduciosa insistenza e da noi accolto con umile, grata generosità, sarà senz’altro una Chiesa in missione permanente.
Carissimi Fratelli e Sorelle, stiamo vivendo tempi straordinari; anche nella nostra Chiesa è già scoccata l’ora di una rinnovata Pentecoste. E’ ormai al capolinea un cristianesimo fatto di riti e di convenzioni; è morto da un pezzo il cristianesimo dell’abitudine, è scoccata l’ora del cristianesimo dell’innamoramento. Il Papa ci invita a vivere questa “nuova tappa dell’evangelizzazione”, guardando a Maria, la stella polare della nuova evangelizzazione “perché ogni volta che guardiamo a lei, torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” (EG 288). Certamente – lo ripeto – dovremo affrontare sfide ardue e faticose; dovremo operare cambiamenti nella mentalità e nei comportamenti, ma permettetemi di citare ancora una volta il proverbio cinese: “Quando soffia forte il vento del cambiamento, alcuni alzano muri; altri, più saggi, costruiscono mulini a vento”. Nel “campo” della missione giochiamo al rialzo!
Rinnovo di cuore la mia gratitudine a tutti voi, sacerdoti, diaconi, consacrate/i, laici. Aiutatemi a pensare che, a Dio piacendo, si possa realizzare un desiderio che mi è sorto spontaneo e che spero di tradurre in impegno concreto: quello di rinnovare fra un anno, magari con modalità diverse, un’altra visita pastorale alle singole comunità pastorali.
Continuo a seguirvi con affetto e vi accompagno con una calda benedizione del Signore.
+ Francesco Lambiasi