Cito un intelligente post incontrato su Facebook dove l’autore, pubblicando la foto di uno stabilimento che promuoveva il “wi-fi free”, spiegava che in realtà l’autore rischiava di dichiarare agli anglofoni non di avere il wi-fi gratis ma di esserne privo. Propriamente “gratis” è “for free”, mentre “free” ha principalmente il significato di “senza”: le gomme sugarfree sono senza zucchero, i duty free sono senza tasse. Esempio di come il nostro approccio con l’inglese sia spesso approssimativo. Così come i nostri amministratori, da sindaci a primi ministri, che nelle sedi istituzionali dove tutti parlano inglese preferiscono un buon traduttore oppure si lanciano in performance destinate al pubblico ludibrio sul web. E chi fa turismo come noi rischia di pagarne sempre più le conseguenze. Con i russi e i tedeschi che si scambiano il ruolo di mercato di riferimento ogni due anni e questi cinesi che dovrebbero essere il nuovo target, come si può prescindere da un buon inglese? A meno di non voler imparare correntemente le tre lingue di cui sopra, una più astrusa dell’altra. Da noi l’inglese lo si è insegnato poco e male e lo si è imparato più con l’ottica della sufficienza nel compito in classe che come valore aggiunto da spendere professionalmente. Bisogna applicarsi un po’ di più, non c’è niente da fare. Altrimenti rischiamo di trovarci tourist free, che non vuol dire che i turisti non pagano.