Dedicata al genio toscano, ha debuttato al Verdi di Trieste l’opera di Antonio Di Pofi su libretto di Giuseppe Manfridi e Guido Chiarotti
TRIESTE, 29 ottobre 2019 – L’assenza, a teatro, può essere più eloquente di una presenza. Nell’opera Le nozze di Leonardo, il poliedrico genio toscano – di cui quest’anno si celebra il quinto centenario dalla morte – viene continuamente evocato, ma non appare mai. È la scenografia virtuale ad alludere a disegni e dipinti, o alle ardite costruzioni raffigurate nei numerosi codici che testimoniano la sua attività; e, allo stesso modo, sono le parole dei cinque personaggi, soprattutto quelle del poeta di corte Bernardo Bellincioni, a chiamarlo continuamente in causa.
Messa in musica da Antonio Di Pofi, compositore che può vantare una lunga consuetudine con cinema e teatro, questa nuova opera in un atto è nata su commissione del Teatro Verdi di Trieste, dove ha appena debuttato con successo. Merito di un allestimento ben realizzato e – ancor più – di un efficace meccanismo drammaturgico, che la musica asseconda attraverso una scrittura in grado di valorizzare i dialoghi e la parola: condizione fondamentale, questa, per descrivere le emozioni dei personaggi, così come emergono dal libretto di Giuseppe Manfridi e Guido Chiarotti. La scorrevole versificazione affida agli interpreti descrizioni di eventi storici (a Milano si stanno celebrando, nel 1491, le sontuose feste per le nozze di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, con la supervisione artistica di Leonardo) che ciascuno declina in maniera diversa, a partire dalle proprie esperienze.
Personaggio principale è Bernardo, il poeta divorato dalla gelosia nei confronti del genio toscano (perderà tutti i suoi averi in una sciagurata scommessa, illudendosi di poter vincere la propria sfida con lui): emissione sicura e notevole varietà di accenti, il baritono Nicolò Ceriani – sempre a suo agio in un canto che alterna l’andamento conversativo a quello declamatorio – ha saputo trasmettere con notevole efficacia i tormenti che avvelenano il suo animo. Fra le quattro figure femminili, il protagonista maschile intesse il dialogo più fitto con Cecilia Gallerani: l’espressiva Tonia Langella, che ha cantato fuori scena a causa di un’indisposizione. Il giovane mezzosoprano è comunque riuscita a imprimere alla figura dell’amante del Moro, ritratta da Leonardo nel celeberrimo dipinto La dama con l’ermellino (l’occasione ispirò al Bellincioni un sonetto rimasto famoso), tutta l’aristocratica leggerezza di una cortigiana di rango. La sua presenza culmina nel confronto, in punta di fioretto, con Beatrice d’Este, legittima consorte del Moro e, dunque, sua rivale, interpretata dal corretto soprano Miriam Carsana. Molto più drammatica la figura di Isabella d’Aragona, destinata a seguire le sorti del marito (un anno prima, per i suoi sponsali, sempre il Bellincioni aveva scritto i versi della Festa del paradiso, messa poi in scena da Leonardo), ormai esautorato dal Moro che si appresta a prendere definitivamente il potere a Milano: il soprano Claudia Urru ne ha affrontato la tesa scrittura sopranile con sicurezza, nonostante qualche forzatura in alto. Completava il quartetto femminile la giovane Ilaria Zanetti, che ha disegnato una spigliata Macinella, la servetta che si prende cura della casa di Leonardo.
Andrea Certa, alla guida dell’orchestra del Teatro Verdi, ha diretto con apprezzabile precisione gli strumentisti triestini (nell’organico hanno un ruolo rilevante pianoforte e percussioni), avendo sempre l’accortezza di sostenere i cantanti senza sopraffarli. Firmava una regia, particolarmente attenta ai movimenti, la coreografa Morena Barcone, che ha ideato un doppio piano spaziale, in accordo al duplice andamento narrativo: in alto si svolgevano i dialoghi di palazzo, mentre il livello inferiore, quello del palcoscenico, riguardava il mondo esterno. I bei costumi d’ispirazione rinascimentale erano di Andrea Binetti; assai suggestiva la scenografia virtuale realizzata da Federico Cautero: molto ben riuscita la visualizzazione degli ingranaggi delle macchine leonardesche, così come la creazione di inedite angolature prospettiche. Oggi, forse, l’unico modo possibile per far vivere Leonardo in palcoscenico.
Giulia Vannoni