Tempo fa si chiamavano barboni, oggi sono gli homeless, i clochard, i senza fissa dimora. Vivono nelle nostre città, seduti per terra con i loro cani, oppure addormentati sopra una panchina o per terra. Le loro case sono : all’aperto, in una tenda o tra i rifiuti. In un veicolo: una automobile o una roulotte. In un luogo pubblico: parchi, autobus o stazioni ferroviarie, aeroporti. In strutture abbandonate: edifici o automobili abbandonate, barche tirate a secco. Nei dormitori che offrono alloggio temporaneo economico e spesso sono usati da coloro che cercano di uscire dalla condizione di senzatetto.
Quando passiamo accanto a loro non li “vediamo”, non ci fermiamo a fare un saluto, non abbiamo tempo per ascoltare le loro storie; sono un popolo invisibile. Eppure ci sono.
Secondo l’indagine Istat sulle persone senza dimora, svolta in collaborazione con fio.PSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora ) e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Caritas italiana, sono 50.724 le persone senza dimora stimate in Italia nel 2015. La Caritas di Rimini ha stimato che ogni notte sono circa 200 le persone che dormono in alloggi di fortuna.
Ma cosa porta una persona a vivere in strada? La popolazione dei senza dimora presenta molte sfumature. Le cause e i fattori di vulnerabilità si assomigliano (perdita del lavoro, della salute, della famiglia sono gli eventi di rottura prevalenti ci dice l’Istat). La perdita dell’alloggio rappresenta uno dei fattori di rischio maggiori che, a partire dalla difficoltà di pagare l’affitto fino ad arrivare allo sfratto vero e proprio o alla difficoltà di mantenere le spese per l’abitazione, conduce verso la homelessness. Per costrizione, per necessità o anche per scelta la strada diventa la tua casa.
Noi abbiamo voluto conoscere uno di loro la sua storia, il suo pensiero. Abbiamo incontrato Leo con i suoi due cani all’uscita della mensa Caritas. Lui ha accettato di raccontarsi.
“Sono nato in Perù a Cuzco e lì ho vissuto fino a tre anni e mezzo in orfanatrofio. Poi sono stato adottato da una bella famiglia di Biella. Qui sono stato fino a 16 anni. Non finirò mai di ringraziare questa famiglia; fino a che sono stato con loro la mia vita è stata come quella di tanti coetanei: scout, liceo scientifico e dai 5 ai 10 anni ho studiato anche pianoforte. Ero bravo , ho dato anche concerti e vinto dei premi”.
Come mai hai smesso?
“Io non riuscivo a passare la maggior parte del mio tempo, chiuso in casa,sui libri o al pianoforte; ogni tanto schizzavo, mi sentivo prigioniero, stavo diventando schizofrenico. A 16 anni sono andato a vivere in tenda, in un bosco. Vivevo le mie giornate nella più assoluta libertà con i pastori, facendo lavori nelle malghe in cambio di cibo. Tornato a casa ho dovuto scegliere se continuare a stare a casa con le vecchie regole, se andare in istituto o in casa famiglia. Sono andato in una casa famiglia a Boves. A 18 anni sono tornato a Biella per cercare casa e lavoro. Sono stati alcuni anni abbastanza sereni . Lavoro per un periodo come marmista, ho un appartamento e una compagna. Ma quando lei abortisce è come se anche una parte di me se ne fosse andata. Lascio lei, il lavoro l’appartamento. Non ho più niente. Vivo in un parco in compagnia della birra, del fumo e degli acidi”.
Poi cosa è successo?
“Stanco della vita che facevo, mi sono rimesso in sesto ho trovato lavoro presso dei giostrai. Nel 1999 mi sposo, nel 2002 nasce mio figlio Marco ma nel 2006 divorziamo. Fino al 2010 faccio lavori saltuari come marmista, stagionale nel settore turistico, in una ditta per computer. Poi scelgo di vivere in strada; trovo un vecchio camper dove dormire, prendo due cani che diventano i miei compagni di strada e ora ho anche una nuova compagna”.
Com’è la vita in strada?
“La cosa positiva è la libertà; il non avere regole fisse, orari, convenzioni…In negativo c’è il giudizio della gente, il rischio della guerra tra poveri. Ma la cosa più brutta è la percezione di essere invisibile: pochi ti vedono, pochissimi, ti guardano, nessuno ti parla. Anche quei pochi che ti lasciano una moneta, lo fanno senza guardarti e la fanno cadere nel piatto, quasi abbiano paura di toccarti. L’altro grande problema è che senza residenza non hai nessun diritto e neppure neppure la copertura sanitaria”.
E allora come fate?
“Quando parlo con la mia compagna o con le altre persone che vivono in strada dico sempre che bisogna darsi da fare, non lasciarsi andare, darsi una mossa. Se ti lasci prendere dal bere o dalla droga diventi un relitto, uno scarto, perdi la dignità, non sei più nulla come persona. Anche quando si va a scollettare (= chiedere l’elemosina) bisogna farlo con dignità. Io non sono insistente, non chiedo niente e non mi arrabbio se non mi danno niente. Quello che faccio con chi si ferma è parlare, raccontare la mia storia e quasi sempre mi danno qualcosa. Quando è sera è sempre rimediato il necessario per comperare il mangiare , qualche medicina, il cibo per i miei cani e la bombola del gas per riscaldarsi in inverno. Allora giro molto per cercare i posti migliori dove incontrare gente.
Leo qual’è la cosa più importante che ognuno di noi dovrebbe fare nei vostri confronti?
“Non avere pregiudizi, avere rispetto per la nostra dignità di persone. Sprattutto ogni tanto perdere qualche minuto della vostra vita frenetica per fermarsi a parlare, conoscere le storie delle persone; non tutti scelgono la vita di strada, molti vi sono stati costretti e da soli non ce la fanno più a rialzarsi. Mettersi nei panni di chi è seduto per terra e chiedersi:” ma io nella sua situazione avrei fatto meglio?” Per chi vive in strada avere un amico, una persona che ti ascolta è molto importante. La solitudine è il nemico peggiore”.
E all’ente pubblico cosa chiedi?
“Come dicevo prima, dovrebbe garantire a tutti la residenza. Poi io credo che sarebbe molto importante per noi avere un luogo dignitoso dove dormire e uno dove stare di giorno. Un luogo dove leggere il giornale o qualche libro, incontrare persone , guardare la televisione…Questo se ci mette insieme società civile ed ecclesiale non dovrebbe essere diffile. Ma attenzione, non deve essere tutto gratis. Questo non aiuta, non responsabilizza. Io farei pagare sempre: 50 centesimi, 1 euro e l’impegno a rispettare l’ambiente, tenerlo pulito e in ordine. Anche alla Caritas dovrebbero fare pagare per dormire e per mangiare. Questo aiuterebbe le persone a capire che non tutto è dovuto e che se vogliono qualcosa, in qualche modo se lo devono guadagnare”.
Un ultima domanda Leo, sei pentito di avere scelto questa vita? Qual’è il tuo sogno?
“Non sono pentito, ma comincio ad essere un po’ stanco. Desidererei avere un lavoro e un appartamento in cui vivere con la mia compagna e i miei cani. Ma questo è molto difficile perchè prima dovrei trovare un posto dove lasciare le mie cose e i miei cani e poi andare lavorare. Altrimenti dove li lasci?Ma nessuno ti da una stanza o un appartamento se non lavori. Ma non dispero. La vita di strada ti insegna anche questo. Ogni giorno è un giorno nuovo, portatore di speranza”.